Simone Lucido e Maurizio Giambalvo sono tra i fondatori di Next e del Comitato Spazio Pubblico Palermo.

Quando vi abbiamo intervistato, una decina di anni fa, eravate i Draghi Locopei, un’associazione culturale nata dall’occupazione dell’Università dell’89-90, ai tempi della Pantera, che gestiva tra l’altro una biblioteca di quartiere. Come avete visto cambiare la città in questi anni?
Simone Lucido. I Draghi Locopei esistono ancora, continuano a gestire la biblioteca, anche se hanno avuto la storia tipica di tutte le associazioni, qualcuno è partito, qualcuno è rimasto. Nel corso degli anni ’90, c’è stata una forte migrazione intellettuale e posso dire che metà delle persone che frequentavamo se ne sono andate altrove. Recentemente è ricominciata pure la migrazione dei lavoratori, soprattutto operai edili, carpentieri, molti fanno i pendolari settimanali: partono con i pulmini la domenica e tornano il venerdì sera.
Alcuni di quelli rimasti nei Draghi Locopei, tra cui noi, nel 1999-2000 hanno dato vita a un’altra organizzazione, che si chiama Next, un acronimo che sta per Nuove Energie Per il Territorio e che si occupa di strategie ed interventi di sviluppo per l’innovazione e la sostenibilità nelle organizzazioni e nei contesti sociali.
Sul versante più associativo, siamo impegnati nel Comitato Spazio Pubblico Palermo. Il tema dello spazio pubblico è cruciale per leggere le trasformazioni che hanno attraversato la città negli ultimi vent’anni.
Dopo la fine della giunta Orlando, che è coincisa con un grande fermento, si è assistito a uno sfilacciamento del tessuto associativo, soprattutto delle esperienze più dipendenti dall’amministrazione.
Maurizio Giambalvo. Se dopo 15 anni abbiamo ancora questo spazio è anche perché il suo funzionamento non è vincolato ai finanziamenti pubblici. Molte altre esperienze, chiusi i rubinetti, si sono arenate.
Simone. Gli anni successivi sono stati segnati da una grande frustrazione: dopo 40 anni di deserto, quegli otto anni avevano svelato una città molto effervescente, ricca di iniziative culturali, di spazi che si riscoprivano.
Era cominciato tutto nel ’92, c’era stata l’esplosione del sistema politico, Lima era stato ammazzato da poco, così, per la prima e unica volta, il voto era stato completamente libero nel senso che nessuno ti diceva come dovevi votare, perché soldi non ce n’erano e i referenti politici erano saltati.
Orlando si inserisce in quella "finestra di opportunità” e vince. Va detto che lui già dalla seconda metà degli anni ’80, aveva fatto un lavoro molto fruttuoso, era l’unico ad essere andato a parlare in certi quartieri di Palermo, quindi non aveva relazioni solo con le classi dirigenti e con la borghesia più o meno illuminata palermitana, era in grado di parlare nelle periferie...
Dopo questi otto anni di governo della città all’insegna dell’apertura, della riscoperta dei luoghi della città, del centro storico, di uno sfruttamento intelligente dei fondi europei, tutto finisce. Qua a Palermo c’è ancora la guerra interpretativa sui motivi. Certo è che a quel punto molti sono partiti, un po’ per scelta, un po’ perché non era più aria.
A poco a poco l’atmosfera a Palermo è tornata grigia e si sono creati i presupposti per la situazione in cui ci troviamo adesso: una città che si sta decomponendo, perché l’amministrazione, a prescindere dai giudizi politici, è palesemente inefficiente, incapace di liberarsi di una gestione evidentemente clientelare, per cui a ogni turno elettorale si ingrossano le file dei dipendenti dell’Amia, che è la ex municipalizzata, a fronte di un servizio che rimane sempre pessimo. Per non parlare dei lavoratori socialmente utili, una cosa inventata da Orlando, della quale lui si dovrà pentire per sempre.
La figura del lavoratore socialmente utile e le vicende dell’Amia, la società per la gestione dei rifiuti del Comune di Palermo, per voi sono paradigmatiche di un certo andazzo…
Simone. Quando fu introdotta questa figura, probabilmente si pensava fosse una soluzione a un problema sociale che non si sapeva come affrontare.
In realtà il messaggio che ne è risultato è stato devastante: tu fai finta di lavorare e noi ti paghiamo. Che senso ha? Se pensiamo che ciascuno abbia diritto alla sopravvivenza, gli diamo i soldi e amen, dopodiché farà quello che gli pare. Non si può creare una situazione in cui diventa senso comune che tutto un gruppo di persone metta in scena una finzione, per cui se si va in qual ...[continua]

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