Claudio Abbondanza, ingegnere e ricercatore, vive a Bologna.

Sono un giovane ricercatore -giovane anche se in altri paesi un 33enne dovrebbe essere avanzato di categoria- e, soprattutto, sono un precario della ricerca che sta partendo per gli Stati Uniti. Quindi sono anche un caso di emigrazione intellettuale. Mi sono laureato in ingegneria per l’ambiente e il territorio, per cui sarei un tecnico, ma avendo una grande passione per la modellistica e per gli aspetti più strettamente teorici, un po’ atipici per un ingegnere come può intenderlo il senso comune, ho deciso di focalizzare la mia attenzione sulla fisica della terra, piuttosto che nella progettazione ambientale, nell’ingegneristica in senso più stretto. Vinsi con fatica un concorso per fare un dottorato di ricerca che allora si teneva a ingegneria ma era in scienze geodetiche, quindi sono cresciuto a stretto contatto con un gruppo di ricerca dell’istituto di radio-astronomia.
Come si sa, la ricerca di base, non avendo una spendibilità concreta, non producendo, cioè, pezzi di macchine, medicine, eccetera, nel progressivo taglio di fondi alla ricerca è la più penalizzata. Quel poco che si stanzia è indirizzato soprattutto al tecnico, allo spendibile nell’immediato e tutto ciò che è a monte della tecnica, e che ha un’importanza fondamentale perché senza scienza non potrebbe neanche esserci tecnica, finisce in secondo piano.
Questo fa sì che studiosi con una grande preparazione, che ancora l’Italia sa formare, fuggano alla prima occasione utile.

Sì, alla fine mi sono deciso a presentare candidature per università e istituti di ricerca all’estero e ho potuto constatare come le procedure concorsuali italiane non esistano negli altri paesi. In Italia il sistema farraginoso del concorso pubblico, tecnicamente e teoricamente fatto apposta per essere aperto al maggior numero di persone in possesso di certi titoli (laurea, dottorato di ricerca, curriculum di pubblicazioni) è fatto ad hoc per la persona che si sa che lo deve vincere e che lo vincerà.
Viceversa, all’estero c’è una grandissima trasparenza e semplicità. Io spedisco il pacchettino con le mie pubblicazioni scientifiche, gli articoli che mi hanno pubblicato, la mia tesi di dottorato e la mia tesi di laurea, e una commissione di valutazione dell’università lo valuta tra i ricevuti e, se lo ritiene meritevole, mi telefona e mi manda una mail, dicendo: "Sei disponibile il giorno tal dei tali a una teleconferenza in cui ti faccio un colloquio di lavoro?”. Nel colloquio di lavoro tu parli con il capo del dipartimento, che può essere un professore ordinario o un dirigente di ricerca o uno scienziato e se, sulla base dell’esito del colloquio, c’è un interesse o una coincidenza tra la tua attività di ricerca e ciò che il gruppo cerca, il gioco, tutto sommato, è fatto. Viceversa, in Italia, si creano queste procedure concorsuali fasulle, dove si sa benissimo che il candidato interno deve passare assolutamente anche in presenza di candidati che hanno un curriculum mille volte più forte.
A un concorso cui partecipai uscirono questi verbali in cui ogni professore della commissione dava le sue opinioni sul mio operato e su quello degli altri candidati. Io avevo presentato pubblicazioni su una rivista che si chiama "Journal of geodesy”, una rivista scientifica di riferimento, per una posizione di ricercatore in un istituto che fa geodesia. Un membro della commissione di concorso scrisse testualmente nel verbale: "Il candidato Claudio Abbondanza presenta un curriculum di notevole impatto per le pubblicazioni di alta levatura a livello internazionale, tuttavia, il lavoro che svolge non è centrato e non si ritiene particolarmente pertinente per le attività del raggruppamento scientifico disciplinare per il quale il candidato si presenta”. Il mio lavoro, attestato da pubblicazioni sul giornale di geodesia non era pertinente per questa posizione da ricercatore all’istituto di geodesia del Politecnico di Milano.

Sì, ho presentato quattro candidature, e le ho passate tutte, per il semplice motivo che c’era interesse per le cose che stavo facendo. Una candidatura l’avevo presentata per la Technische Universitat di Vienna, il Tuwien, dove c’è un Istituto di geofisica applicata abbastanza accreditato. Mi offrirono un contratto per due o tre anni, che poi rifiutai perché non mi interessava. Quest’anno, in estate, ho fatto altre due procedure di "application”, così si chiamano in inglese, ...[continua]

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