Nadia Urbinati insegna Teoria politica alla Columbia University di New York. Collabora a varie riviste di teoria e filosofia politica.

Vorremmo parlare con te del tema della corruzione in democrazia. Stante la diffidenza verso ogni idea di "repubblica degli onesti”, dei virtuosi, dei puri, la democrazia -quella di "una testa e un voto e succeda quel che succeda”- si espone al rischio della corruzione al punto da poterne essere travolta. Insomma, la corruzione è connaturata alla democrazia?
Beh, il problema della corruzione è il problema della politica. Al fondo la politica è l’arte con cui gli esseri umani associati si danno leggi e regole alle quali si impegnano ad obbedire. Noi, in una sfera ampia della nostra vita, in cui siamo bastanti a noi stessi, ci diamo norme da soli e queste possono, in teoria, procedere senza ostacoli fino a quando non si oppongono alle norme politiche, quelle cioè a cui accettiamo di obbedire nella vita associata; qui accettiamo di non obbedire alla nostra volontà individuale, ma di obbedire a una legge che noi, insieme ad altri, ci siamo dati. E perché facciamo questo? Perché se operassimo in tutti i settori secondo la nostra individuale volontà o per il nostro interesse o per i nostri desideri, potremmo rendere la vita difficile agli altri e quindi anche a noi stessi, creando le condizioni per un radicale conflitto che, alla fine, metterebbe tutti contro tutti.
Quindi noi abbiamo due domini, due versanti, nella nostra azione: uno che risponde alla nostra coscienza in maniera diretta e uno che risponde alla nostra coscienza in maniera indiretta. È qui che opera la politica; non che non operi anche nell’altro, perché siamo noi gli attori e quindi mai completamente dimentichi della nostra sfera privata di valori; però è nel secondo settore, o spazio di interazione sociale, che la politica opera in maniera diretta attraverso norme che hanno l’autorità di essere imposte, anche con strumenti coercitivi. La politica non è che lo spazio, quindi, in cui noi operiamo insieme per fare norme alle quali c’impegniamo ad ubbidire, anche quando sono in contrasto con i nostri interessi più diretti, anche quando noi non le condividiamo.
Ecco, a che condizioni? Ci sono dei limiti che noi stessi poniamo: che l’accettazione di queste norme non ci costringa a violare, a tradire troppo la nostra coscienza e quindi anche la nostra libertà; che le norme stesse siano fatte secondo criteri e secondo convenzioni che ci rispettino e che, soprattutto, non introducano elementi di doppiezza, impedendoci di controllare se le leggi a cui obbediamo siano quelle che ci siamo dati, se c’è una regia nascosta o se sono fatte secondo uno spirito malevolo.
Quindi si presume una certa coerenza, se non sincerità, almeno onestà, nella costruzione della sfera politica. Proprio perché aspiriamo alla tranquillità, quella che nasce sapendo che le leggi alle quali obbediamo sono in qualche modo coerenti con alcuni fondamenti ai quali ci siamo ispirati nel farle.
Quindi non possiamo presumere individui che siano puri nelle loro intenzioni e assolutamente incorruttibili, dobbiamo puntare ad accomodamenti…
Ma noi stessi non lo siamo. Se presumessimo questo, non avremmo nemmeno bisogno di regole: vivremmo come monaci nei conventi, cioè ciascuno nella propria cella, consapevoli che c’è un ordine superiore che ci governa al quale noi ci sottomettiamo; però tutta la nostra vita dovrebbe essere dedicata alla repressione anche delle intenzioni corruttive. Insomma, non possiamo che presumere una certa imperfezione. Presumiamo anche che le leggi non ricevano un’unanimità di consenso, quindi che ci sia un dissenso, che ci siano persone che non le condivideranno. Una legge sull’interruzione della gravidanza non può essere difesa dal punto di vista della verità o dell’assoluta giustizia: in essa c’è un elemento di arbitrarietà che rende il problema sempre aperto per molti -religiosi e non. è proprio questa apertura della possibilità di cambiarla (e quindi questa arbitrarietà della scelta a maggioranza) che ci consente di dire: "Va bene, obbediamo”. Questa è un’importante condizione di pacificazione sociale.
Insomma, presumiamo che nelle leggi che facciamo, nelle decisioni che prendiamo, ci possa essere un elemento che noi sentiamo, nella nostra coscienza, nella nostra ragione, di non condividere. Però non diciamo che quella legge, che non condividiamo e che tuttavia rispettiamo, è corruttiva o frutto di una corruzio ...[continua]

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