È successo tutto all’improvviso il 16 maggio del 2009: ero a casa di un’amica linguista, Lisa Jankowski, stavamo per andare a un convegno, quando ho sentito un piccolo dolore da un’anca all’altra e, nel giro di dieci minuti, ho perso il controllo del corpo dal bacino in giù. Ho raggiunto il letto con i gomiti, strisciando per terra.
Lisa pensava fosse il colpo della strega, ha chiamato un’amica medico e le ha spiegato. Lei le ha detto: "Passami Vita”, al che mi ha chiesto: "Ma tu senti che si è addormentato anche il pube?”. Ho fatto mente locale solo in quel momento. Ovviamente delle gambe ti accorgi perché non cammini... Ho risposto di sì. A quel punto ha detto: "Di corsa al pronto soccorso neurologico!”.
Il figlio di Lisa ha chiamato l’ambulanza. Lisa abita al terzo piano senza ascensore, i barellieri sono arrivati e mi hanno caricato sulla lettiga.
Al pronto soccorso mi hanno fatto una lastra; pensavano fosse un’ernia che schiacciava, ma poi dalla risonanza hanno capito che non era così e mi hanno ricoverato subito d’urgenza. I medici mi hanno detto: "Ci dispiace signora, pensavamo... invece è una cosa molto grave”. A quel punto Giannina, l’amica che nell’intervallo del convegno era venuta a vedere come stavo, ha chiamato mio marito dicendogli: "Vieni subito perché Vita sta male”. Guido era a Torino. Figurati che viaggio s’è fatto.
Il tam tam è partito subito. Mio marito fa l’agente e quindi quando è partito di corsa dalla Fiera del Libro l’hanno saputo tutti i suoi amici editori. Ugualmente al convegno cui dovevo partecipare, un giovane filosofo ha letto la relazione al mio posto e c’era gente che veniva da tutta Italia. Tra l’altro pare abbia fatto una certa impressione ascoltare la relazione di una persona che in quel momento era all’ospedale non si sa con quale prospettiva. Insomma, è diventata subito una cosa pubblica.
Quello che mi è successo è una cosa che arriva così, non c’è nessuna avvisaglia: è come un ictus localizzato che, invece di prenderti alla testa, prende direttamente al midollo. Un medico incontrato a Negrar, dove ho fatto la riabilitazione, mi ha detto: "Lì si è rotto un capillare, se ne rompono in continuazione, la sfiga è che si è rotto nel midollo”. Tutto qui.
Proprio perché si forma un ematoma, il tempo è importantissimo, perché più si allarga, più si aggrava la lesione. La mia infatti è una lesione incompleta.
In seguito ci ho pensato: se fosse capitato il giorno prima, io mi sarei trovata qui a Sesto San Giovanni da sola perché mio marito era a Torino per la Fiera del libro. Non so come sarebbe andata, in quelle condizioni non riuscivo neanche ad aprire la porta...
A lungo sono rimasta terrorizzata dall’idea che, da un momento all’altro, così, senza nessuna avvisaglia, potesse ricapitare... Mi è rimasta una paura pazzesca di rimanere da sola. Ora di notte ho sempre il cellulare a portata di mano.
C’è anche la spada di Damocle dell’incertezza della diagnosi. Sia a Verona a Borgo Trento, sia qui a Milano al Niguarda non sono riusciti a dire con precisione se si sia trattato di un evento vascolare o di una reazione autoimmune. Mi hanno fatto parecchi prelievi al midollo spinale, perché c’erano dei tassi del sangue sballati che potevano far pendere per la seconda ipotesi, infatti faccio la prevenzione anche per quello, mi devo tenere monitorata.
Il fatto è che mentre l’evento vascolare nella casistica è difficile che si ripeta, sono atti unici per fortuna, la reazione autoimmune si può invece ripetere. Io mi sono convinta che è un fatto vascolare, anche perché con la terapia i tassi sono andati a posto... e anche perché ho bisogno di stare tranquilla.
Di quel giorno ricordo le ore al pronto soccorso, in corridoio, sul lettino, immobile, sempre lucida... Ho questa risorsa: che nei momenti dell’emergenza non mi spavento subito, anche se poi le emozioni arrivano... Ho dei ricordi belli perfino della Stroke-Unit e delle panchine fuori dal reparto ...[continua]
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