Nel numero scorso Guido Armellini ci ha parlato a lungo di una concezione pedagogica che vede la trasmissione del sapere in modo unilaterale. Ce ne puoi parlare?
C’è un bellissimo brano di Luce Irigaray che critica come è stato pensato il rapporto pedagogico nella cultura occidentale. Lo leggo: "Nelle relazioni all’interno delle genealogie umane e divine, naturali o spirituali, si suppone che il più anziano sappia ciò che è e ciò che deve diventare il più giovane. Si presume che l’anziano sappia il giovane, limitandosi ad ascoltarlo nell’ambito di una scienza e di una verità esistenti". Cioè la questione della trasmissione è più profonda ed è costruita intorno a un certo modo di vedere il rapporto. Infatti Irigaray prosegue: "L’accesso alla differenza sessuale, all’orizzontalità della trascendenza esige ’io non ti so’". Se tu metti in gioco la tua soggettività questo porta con sé anche il fatto che l’altro è uno sconosciuto. "Dunque la nascita alla solitudine e al rispetto dell’altro. ’Ti capisco, ti conosco’ sono spesso l’espressione dell’impossibilità di accedere alla solitudine. Mi alieno, ti alieno in una pseudo realtà o verità, ti riduco alla mia esistenza, alla mia esperienza, al già conosciuto da me, per evitare la solitudine. Spesso questo è il linguaggio di un adulto che per mancanza di autonomia penalizza così la libertà del divenire del bambino".
A me sembra che intorno a questo nodo della soggettività si aprano tutta una serie di questioni che ci riguardano molto da vicino. Innanzitutto il fatto che l’apprendimento è sempre autoapprendimento e quindi è sempre anche relazionale: tu impari perché c’è qualche cosa dentro di te che ti muove. E questo qualche cosa che ti muove in genere è una relazione, che si può intendere in senso reale, con l’insegnante, ma anche in senso simbolico, con un certo autore o autrice.
Allora, se le cose stanno così -e stanno così perché questa è un’esperienza anche nostra- il ruolo dell’insegnante cambia completamente. Si è in classe, innanzitutto, per fornire una serie di stimoli, per creare un ambiente di autoapprendimento, e in secondo luogo, per fornire assistenza. Questo significa, in un certo senso, un ritirarsi dalla pretesa di insegnare per forza.
Posso fare degli esempi concreti. Quest’anno ho una prima media simpatica, 22 fra ragazzi e ragazze, con tantissimi problemi, in 5-6 casi particolarmente gravi, alcuni anche di devianza, ragazzi che vivono in comunità perché allontanati dalla famiglia; una classe, quindi, tutt’altro che semplice. Ecco, l’insegnamento della storia, ma anche della geografia, sono diventate una cosa diversa a partire da un momento voluto da loro. Qui in Val Camonica ci sono le incisioni rupestri e siccome stavamo vedendo dove ci sono dei resti preistorici in Italia, uno mi ha detto: "Noi, quando eravamo alle elementari siamo andati a veder i Camuni... allora, possiamo parlarne noi", così si sono autorganizzati, sono andati a farsi dare le diapositive dalle maestre, e poi hanno fatto la presentazione. Il mio ruolo è stato quello di procurare gli strumenti. Devo dire che la presentazione è piaciuta molto, tanto che anche un’altra classe l’ha voluta vedere e da quel momento tutta la classe si è entusiasmata all’idea: a gruppetti si sono presi un popolo, se lo sono studiato per conto proprio e sono poi venuti a presentarlo. Hanno preso anche i cinesi che non ci sono nei libri delle medie! Ecco, al momento della presentazione anch’io mi preparavo, arrivavo con del materiale, dei documenti da leggere; loro parlavano, e io aggiungevo, perché nel momento in cui tu offri questo spazio, loro sono disponibili ad ascoltarti: quindi c’è effettivamente una messa in gioco di conoscenze.
In genere, invece, si parte con la lezione cattedratica, che poi sia tipo conferenza o tipo "leggiamo il libro e spieghiamo", o con i laboratori, non cambia, non ci si gioca nel rapporto studente-insegnante. In questo modo loro invece si sono appassionati e tutta una serie di problemi relativi allo studio si sono sciolti da soli.
In questa sorta di "relazione parlante" la mia competenza per le materie che insegno non si stacca mai dall’attenzione a cogliere gli stimoli che vengono dai ragazzi. Quindi la disparità nel rapporto, ...[continua]
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