Aldo Marchetti ha insegnato Sociologia del lavoro nell’Università Statale di Milano e in quella di Brescia. Giornalista pubblicista, è stato direttore di diverse riviste di cultura. Il libro di cui si parla nell’intervista è Fabbriche aperte, L’esperienza delle imprese recuperate dai lavoratori in Argentina, Il Mulino, 2013.

Nel corso della crisi che ha colpito l’Argentina nei primi anni Duemila alcune fabbriche sono state occupate e recuperate dai lavoratori. Puoi raccontare?
La storia delle imprese recuperate, che è un’esperienza di autogestione operaia, comincia con la crisi economica del 2001, che ha portato al fallimento dello Stato e a una crisi politica durante la quale si sono succeduti tre o quattro governi durati pochi mesi, sino a che, dopo le elezioni del 2003, è stato eletto il governo di Nestor Kirchner, che ha posto le basi per una ripresa economica e che ha portato l’Argentina a svilupparsi a un ritmo del 6-8% all’anno; una ripresa che è durata sostanzialmente fino agli anni recenti, quando anche sull’Argentina comincia a pesare la crisi economica mondiale.
Parliamo di un tracollo -questa è ormai la versione comunemente accettata- dovuto a un utilizzo indiscriminato delle politiche neoliberiste, quindi svendita dell’industria pubblica ai privati, completa apertura del mercato interno a quello internazionale, finanziarizzazione dell’economia, deregolamentazione del mercato del lavoro. Tutto questo, in un contesto di grave crisi economica, ha portato alla chiusura di migliaia e migliaia di fabbriche, alla fuga dei capitali all’estero, fino allo scontro sociale che ha visto in pochi giorni quasi una quarantina di morti nelle strade, e poi manifestazioni e barricate in tutto il paese. Ricordiamo ancora le immagini della gente camminare battendo le pentole vuote e degli assalti al Bancomat e ai supermercati.
Una delle conseguenze di questa crisi è stata l’occupazione, da parte degli operai, di oltre un centinaio di fabbriche che nel frattempo erano state chiuse dagli imprenditori. Molte volte dietro questi fallimenti c’era il fatto che gli imprenditori, nel marasma generale, avevano cercato di vendere i macchinari e gli impianti per realizzare del denaro liquido e scappare all’estero, oppure trasferirsi in altre parti del paese aprendo aziende nuove dopo aver mandato sul lastrico i vecchi operai.
Ecco, in diverse di queste situazioni gli operai hanno occupato la fabbrica e hanno cercato di rimetterla in funzione.
Parliamo di un processo estremamente complicato, che ha visto anche un profondo conflitto con le forze dell’ordine, le istituzioni, la magistratura, il governo. Molte di queste fabbriche occupate infatti sono state prese di mira dalle forze di polizia chiamate a svuotarle dei lavoratori per riportarle nelle mani degli imprenditori. A quel punto interi quartieri sono scesi in lotta per difenderle.
Bisogna infatti considerare che nel frattempo in Argentina erano sorti movimenti sociali di grande portata, come quello dei disoccupati, delle donne, ecc., che in questo clima di crisi profonda hanno costituito un elemento sociale di coesione e solidarietà che ha consentito alle imprese recuperate di restare in piedi. In molti casi il quartiere, i piqueteros o le assemblee popolari dei quartieri hanno proprio fatto barricata davanti alle porte delle fabbriche, le hanno presidiate per difenderle materialmente dall’irruzione delle forze di polizia.
Insomma, attorno a queste imprese recuperate, si è creato un movimento di grande solidarietà.
Bisogna anche tener conto che i lavoratori dei livelli più elevati, manager, impiegati e tecnici avevano già dato le dimissioni perché riuscivano ancora a trovare un’altra occupazione sul mercato. Per gli operai questa possibilità non c’era assolutamente: sarebbero rimasti disoccupati, perdendo così qualsiasi fonte di reddito; i deboli elementi di welfare con il default dello Stato, con il crollo delle finanze pubbliche, non sarebbero stati più garantiti. Quindi l’alternativa era semplicemente quella di rimanere privi di reddito, i lavoratori e le loro famiglie. La scelta di occupare la fabbrica e cercare di riavviare la produzione è stata quindi una scelta obbligata, prima che ideologica.
Ma come hanno fatto a rimettere in piedi le fabbriche senza manager, senza quadri, senza tecnici?
Infatti si è subito posto il problema di riempire il vuoto di direzione aziendale. In una prima fase questo vuoto è stato riempito soprattutto dalla s ...[continua]

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