Aldo Marchetti è docente di Sociologia del lavoro nelle Università di Brescia e Milano. Ha condotto ricerche sul lavoro operaio, sui bambini di strada e sulla condizione femminile in alcuni paesi dell’Africa e dell’Asia. Tra i suoi lavori Fabbriche aperte. L’esperienza delle imprese recuperate dei lavoratori in Argentina, Il Mulino, 2013, La rappresentanza del lavoro marginale. Precariato, sindacato e organizzazione sociale a Milano e a Buenos Aires, Edisse, 2018. Il libro cui si fa riferimento nell’intervista è Il movimento brasiliano Sem terra, Carocci editore.
Il suo studio del movimento dei Sem terra traccia anche la storia del Brasile, paese in cui la lotta per l’accesso alla terra ha attraversato l’epoca coloniale, la formazione dello Stato, la dittatura, per poi arrivare all’epoca della globalizzazione...
In effetti questo studio sul movimento dei contadini brasiliani senza terra ha, allo stesso tempo, una dimensione storica e una sociologica. Non poteva essere altrimenti perché si tratta di una lotta che ha una storia lunghissima e che si è mantenuta viva, senza soluzione di continuità, dai tempi della prima colonizzazione sino a oggi. Il sistema agrario brasiliano è stato fondato, sin dall'inizio, sul latifondo a monocultura, dapprima per la coltivazione dello zucchero e, a partire dall’Ottocento, per quella del caffè. In una prima fase la forza lavoro prevalente è stata quella della manodopera locale: gli indios delle tribù autoctone, che erano nomadi, indisciplinati, bellicosi e soprattutto diminuivano rapidamente di numero a causa delle epidemie portate dagli europei. Ben presto i latifondisti si rivolsero al mercato degli schiavi deportati dall’Africa. Fu una storia di sfruttamento disumano durata poco meno di quattro secoli. Le fughe continue dei lavoratori africani dalle piantagioni portavano alla fondazione dei quilombos, comunità di ex-schiavi che potevano sopravvivere anche per molti anni. La storia quasi centenaria del quilombo di Palmares nel nordest del paese è quella più famosa, ma ve ne furono parecchie altre egualmente importanti anche nel centro e nel sud; ancora oggi vi sono più di 1.500 comunità quilombolas eredi dei villaggi costruiti in passato dagli schiavi fuggitivi. Naturalmente si tratta della storia di una guerra spietata. I capitães de mata (i capitani della foresta) erano i comandanti delle milizie incaricate della distruzione dei quilombos. Ritornavano dalle loro spedizioni nelle capitali dei governatorati con migliaia di orecchie mozzate a dimostrazione di un lavoro condotto a buon fine. Quelli che riuscivano a sfuggire ai massacri si rifugiavano ancor più profondamente nella foresta e costruivano altri villaggi più piccoli e così via. Quando il lavoro schiavistico cominciò a declinare si dovette ricorrere alla manodopera dei migranti europei.
Il Brasile è stato uno degli ultimi paesi ad abolire la schiavitù: ci è arrivato nel 1888. Ma il passaggio tra i due regimi non fu improvviso, avvenne gradualmente e per quasi quarant’anni, dal 1850 al 1888, lavoratori europei immigrati dalla Svizzera e dalla Germania, formalmente liberi, lavorarono nelle piantagioni di caffè dello stato di São Paulo fianco a fianco coi lavoratori schiavi di origine africana, in un regime di lavoro e con una disciplina che certo non facevano molte distinzioni tra i due gruppi.
Così, poco alla volta, al lavoro schiavizzato si sostituì quello salariato e i conflitti si spostarono sul terreno delle lotte sindacali in cui le richieste principali dei lavoratori furono l’aumento delle retribuzioni, il riconoscimento delle organizzazioni di rappresentanza e la distribuzione della terra dalle famiglie ricche a quelle povere. Ci sono state diverse fasi dello scontro tra borghesia agraria e proletariato rurale, ma sostanzialmente possiamo far risalire le origini dei moderni sindacati dei contadini agli anni Trenta del secolo scorso, nello stesso periodo in cui si diffusero nel paese le formazioni politiche della sinistra, legate alla tradizione dell’umanesimo socialista e del comunismo di matrice europea. Le lotte contadine, con le prime occupazioni di terre dei latifondi privati e del demanio e con la richiesta di una riforma agraria nazionale, cominciarono a essere molto intense negli anni Cinquanta e secondo alcuni dei maggiori storici brasiliani furono queste tra i principali motivi che spinsero i militari al colpo di stato del 1964. Dopo l’esperienza della dittatura militare e con il ritorno della democrazia nell’84, sono riemerse anche le lotte per la distribuzione della terra ai contadini poveri ed è in quel contesto che nacque il movimento dei lavoratori contadini senza terra di cui parla il mio libro.
In definitiva, se guardiamo alla storia del Brasile, vediamo che il paese ha partecipato a poche guerre esterne ma ha sostenuto una guerra interna lunga cinquecento anni attorno alla proprietà della terra e al modo di usarla.
Il movimento dei Sem Terra si è caratterizzato come guida politica di questa lotta per la riforma agraria…
Il movimento dei Sem Terra è nato nel 1984, pochi mesi prima della caduta della dittatura, per organizzare le lotte contadine nate dal basso negli stati di Santa Catarina e Paranà. Si ispirava, allo stesso tempo, alla dottrina della teologia della liberazione e ai principi del socialismo liberale. Il suo gruppo fondatore era composto da ex seminaristi e da sacerdoti che avevano scelto la militanza accanto ai contadini poveri e contro la dittatura militare e che poco alla volta si avvicinarono alla cultura di sinistra. Cominciò a organizzare e a dare una dimensione pubblica alle occupazioni che stavano fiorendo spontaneamente in diversi stati del paese. Dal 1984 a oggi le occupazioni non sono mai cessate, con dei picchi nel 1996, quando si sono verificati 398 episodi, nel 1997 (463) e nel 1999 (593). Si tratta letteralmente di una riforma agraria condotta dal basso, attraverso la mobilitazione popolare, e di un conflitto che ha conservato nel tempo le stesse caratteristiche di violenza, tanto da poter essere definito come una guerra a bassa intensità.
In oltre trentacinque anni si è registrato un numero molto elevato di persone assassinate dalle milizie private assoldate dai latifondisti, dai gruppi di pistoleros al servizio delle compagnie brasiliane o multinazionali e dalle forze armate. Complessivamente, dal 1985 al 2019 sono state assassinate 1.589 persone, con una media di 46,7 omicidi all’anno. Nel 2021 sono state uccise 35 persone, tra cui esponenti del movimento dei Sem terra, leader delle tribù native dell’Amazzonia ed esponenti quilombolas. Si tratta di uno scontro che nessun governo è mai riuscito ad attenuare o a ricomporre.
Il Movimento dei Sem Terra (Mst) è l’organizzazione che meglio ha interpretato la volontà di riscatto dei contadini poveri brasiliani. Altre organizzazioni hanno preferito strumenti più tradizionali come scioperi, manifestazioni, mobilitazioni collettive, marce, eccetera. Il Mst, che ha avuto origine negli stati meridionali, come Santa Caterina e Paranà, si è poi diffuso in 24 dei 26 stati del Brasile e attualmente coordina circa 600.000 famiglie di contadini poveri organizzati in migliaia di accampamenti e insediamenti.
Come si svolge un’occupazione di terra?
Quando un gruppo di famiglie contadine, organizzate dal Mst, inizia un’occupazione di terreni privati o del demanio, sorgono accampamenti provvisori, poi, se vengono riconosciuti dalle autorità pubbliche, questi accampamenti di tende si trasformano in veri e propri villaggi di case in mattone. Solitamente perché un terreno occupato venga riconosciuto come improduttivo e privo di una funzione sociale e venga definito terreno di riforma ci vogliono anni e ogni occupazione si trasforma così in un lungo conflitto con la controparte. Possono sorgere cause giudiziarie estenuanti della durata di decine d’anni. Ogni volta che avviene un’occupazione i contadini si espongono quindi a un lungo periodo di precarietà, in attesa che una sentenza del tribunale trasformi l’occupazione illegale in un insediamento definitivo. Allora i contadini fondano da zero dei nuovi villaggi, agrovilas, piccole città agricole. Stendono un piano urbanistico, estraggono a sorte tra le famiglie gli appezzamenti di terreno dove verranno costruite le case, tracciano le strade, le piazze, individuano il luogo dove sorgerà la chiesa, la scuola, l’ambulatorio, il bacino per l’acqua, il campo sportivo, e poi le case vengono costruite collettivamente, con un rapporto di mutualità e con l’aiuto di tecnici, architetti, geometri che si mettono gratuitamente a disposizione. Parliamo di interi villaggi costruiti autonomamente dal basso.
In questo modo il movimento dei Sem Terra è riuscito a insediare sulla terra brasiliana, come abbiamo detto, circa 600.000 famiglie contadine. Il fatto è che in Brasile ci sono altri quattro milioni di famiglie di contadini poveri che continuano ad aspirare a un appezzamento di terra da coltivare. Una volta “conquistato” un terreno, il movimento ne suddivide una parte tra le famiglie contadine e un’altra viene destinata alla coltivazione con un sistema cooperativo. È, a tutti gli effetti, un sistema misto di impresa privata a carattere familiare e di economia mutualistica, in cui prevalgono i principi della cooperazione e della solidarietà. Di fatto questo modello misto privato-sociale è molto flessibile. Ci si è arrivati attraverso una serie di tentativi e di errori: in passato ci sono stati periodi in cui si è cercato di promuovere un sistema di cooperazione anche in modo coatto, con un certo dogmatismo; in altri periodi, invece, si è lasciato spazio a un tipo di lavoro più tradizionale, quello appunto della piccola proprietà a carattere familiare, nella quale il soggetto del lavoro è la stessa famiglia che lavora la terra ricevuta dall’occupazione. Ci sono state spinte diverse, nella storia dei Sem Terra, ma col tempo il movimento si è assestato su un certo pragmatismo che ha fatto comprendere come il modello più adatto fosse quello misto, che viene incontro contemporaneamente alle esigenze delle famiglie, la cui aspirazione prevalente è sempre stata quella di avere un piccolo terreno di proprietà, e alle spinte al lavoro cooperativo, più affine ai criteri ideologici e culturali cari al movimento dei Sem Terra.
Quali sono le radici politiche del movimento?
Il pensiero di Sem Terra sorge da tre componenti culturali che si intersecano in modo inestricabile: la cultura cattolica, soprattutto della teologia della liberazione, l’umanesimo socialista e marxista e la cultura popolare contadina brasiliana. Sono tre approcci che circolano molto liberamente e in modo creativo, senza eludersi a vicenda e senza entrare in conflitto. C’è una sorta di socialismo che definirei “australe”, molto diverso dalla tradizione della sinistra europea. Il modo in cui in America Latina viene vissuto il tema della rivoluzione è completamente diverso da come viene vissuto da noi in Europa. Il punto di riferimento non è la rivoluzione bolscevica: quando un brasiliano pensa alla rivoluzione socialista ha come punti di riferimento quella cubana e messicana, rivoluzioni che hanno avuto una loro evoluzione diversa da quella della rivoluzione sovietica.
Anche le sinistre in Brasile, come negli altri paesi dell’America Latina, sono divise tra loro ma senza quel tasso di dottrinarismo e settarismo che ha dilaniato la storia della sinistra europea. Questa è una caratteristica estremamente interessante. Per un militante brasiliano dei Sem Terra, Rosa Luxemburg non è stata la leader del movimento spartachista, ma una donna che ha lottato per i poveri, e Gramsci non è stato il primo segretario del Partito comunista italiano, ma un uomo colto che si è messo dalla parte degli operai… Un altro modo di vedere le cose.
Il fatto che nei Sem Terra sia la famiglia, e non l’individuo, il soggetto della lotta politica, è una specificità molto importante; questo non ha impedito che negli anni si sviluppassero politiche molto avanzate anche in termini di questione di genere, parità uomo-donna…
Senza dubbio uno degli aspetti peculiari del movimento è proprio questa centralità della famiglia e non della persona. D’altra parte, indipendentemente dai principi ideologici ai quali i movimenti contadini possono essersi ispirati nel passato, è la famiglia che occupa la terra, e non gli uomini, o i giovani, da soli. È la famiglia intera, la donna, l’uomo, gli anziani, i bambini: sono loro che incominciano a lavorare la terra, che costruiscono la prima tenda sotto la quale vivere. Il movimento ha avuto il merito di riconoscere questo fatto ineludibile. Molto spesso, già nelle prime occupazioni, davanti alle colonne della polizia che avanzava per attaccare gli insediamenti si formavano barriere composte dalle donne accovacciate per terra, con davanti a sé i bambini; e dopo i rastrellamenti degli uomini, erano le donne e i bambini a presidiare la sede della polizia per far rilasciare gli arrestati.
Insomma, il soggetto dell’occupazione della terra è la famiglia e nel corso di questa mobilitazione i ruoli tradizionali dell’uomo e della donna vengono rimescolati: così si è cominciato a ridiscutere su chi dovesse fare cosa, e il vecchio modello patriarcale su cui si reggeva la famiglia contadina brasiliana tradizionale è stato messo radicalmente in discussione.
Il movimento dei Sem Terra ha colto questo aspetto che i vecchi movimenti contadini, che rappresentavano i lavoratori salariati, ignoravano. Quelli erano movimenti prevalentemente maschili ed erano gli uomini che partecipavano alle manifestazioni, ai cortei, agli scioperi. Ma per un’organizzazione che si fonda sull’occupazione di terra, questo modello entrava in crisi. Avendo riconosciuto la centralità della famiglia, fin dalle prime lotte, nel movimento Sem Terra è stato ampliato il diritto di voto. Alle assemblee che governano le occupazioni, uomini, donne, anziani e bambini, sono tutti riconosciuti come soggetti a uguale diritto.
Ci racconti del ruolo delle donne nel movimento.
All’interno del movimento dei Sem Terra si è creato sin dall’inizio un forte movimento di donne che ha rivendicato l’adozione del modello paritario, caratteristico della fase più conflittuale, anche nella gestione ordinaria degli accampamenti e delle comunità ormai stabilizzate. Il movimento delle donne, in altre parole, è cresciuto all’interno stesso del movimento dei Sem Terra e fa parte della sua storia.
Con il tempo le donne hanno preteso la parità all’interno di tutti gli organismi direttivi, sia a livello nazionale che decentrato, nei singoli accampamenti. Faccio un esempio: gli accampamenti sono organizzati per piccoli nuclei di dieci famiglie che formano ciascuno un coordinamento il quale deve essere formato per statuto da un uomo e da una donna.
Tutti i piccoli coordinamenti di zona poi eleggono un organismo di secondo livello, il coordinamento di accampamento, che a sua volta prevede una presenza paritaria di uomini e donne. E così di seguito, sino agli organismi di direzione del movimento a livello nazionale. Anche i corsi di formazione svolti all’interno degli accampamenti (il movimento svolge una grande attività di formazione professionale e politica per i suoi militanti) devono avere un numero pari di partecipanti uomini e donne.
Inoltre, all’interno degli accampamenti dei Sem Terra c’è oggi una forte mobilitazione affinché i diritti di proprietà della terra siano riconosciuti sia per gli uomini che per le donne. Nel modello tradizionale le donne non godevano del diritto alla proprietà della terra, che è sempre stata intitolata al marito; era sempre lui a trattare con le istituzioni, le banche, i venditori, gli acquirenti, i commercianti. La donna era relegata in casa, a governare la cucina, ad accudire i bambini, a curare il piccolo orto domestico. Questo, come sappiamo, non valeva certo solo nella tradizione contadina brasiliana. Tutto questo nei villaggi dei Sem terra sta cambiando in modo visibile. Le donne hanno trasformato il lavoro dell’orto in un’opportunità di emancipazione perché hanno cominciato a coltivarlo con criteri agro-ecologici e a fornire i mercati locali di piccole quantità di prodotti di nicchia a prezzi vantaggiosi. Nello stesso tempo hanno costituito cooperative di fitofarmaci o di prodotti dolciari di pregio con l’aiuto di università o istituti che hanno messo a disposizione i corsi di formazione necessari.
Le donne Sem Terra non hanno fatto la scelta di separare la rappresentanza femminile da quella maschile, come è avvenuto talvolta in altre organizzazioni sindacali brasiliane, o in India e in Africa, dove le donne, non vedendosi riconosciute nelle organizzazioni di tipo patriarcale maschile, hanno costituito sindacati loro. Nei Sem Terra sono rimaste dentro, ma si sono battute per ottenere gli stessi livelli di rappresentanza, di peso, di importanza degli uomini. Poi negli accampamenti esistono anche piccoli gruppi di sole donne in cui si affrontano i problemi specifici della condizione femminile.
Colpisce nel movimento la coerenza dell’approccio comunitario, la carenza di figure apicali e la centralità delle assemblee, dei coordinamenti...
All’interno del movimento dei Sem Terra c’è una tendenza a lasciare poco spazio alla tradizionale figura del grande leader carismatico, della personalità oggetto del culto collettivo. In realtà non è sempre così; pensiamo per esempio a João Pedro Stedile, che è diventato un leader di spicco riconosciuto sul piano internazionale, e come lui ce ne sono alcuni altri. Ma in effetti non esiste la figura del segretario generale o del presidente; manca una figura che rappresenti in toto il movimento.
Questo viene giustificato in parte per impedire che un leader venga cooptato o sia oggetto di tentativi di corruzione, in parte per motivi di sicurezza, perché se delle persone sono sovraesposte possono più facilmente diventare vittime della reazione, della repressione, degli attentati dei pistoleros al soldo degli agrari e della polizia.
Sicuramente il principio a cui il movimento cerca di attenersi è quello della direzione collettiva, con una leadership per quanto possibile condivisa. Infatti, un particolare interessante che ho percepito è come anche negli insediamenti più sperduti dei Sem Terra si incontrino figure di leader militanti di grande cultura politica, di grande personalità e carisma che sono quasi resi invisibili perché immersi nella quotidianità della vita collettiva del singolo accampamento.
Bisogna aggiungere, da questo punto di vista, che il movimento dei Sem Terra ha una grande cura nella scelta e nella formazione dei leader che sorgono spontaneamente nel corso delle lotte contadine.
Se la parte programmatica del movimento che aspira alla riforma agraria resta utopistica, la pratica dello sviluppo della vita civile negli accampamenti invece sembra produrre buoni risultati, soprattutto per quanto riguarda la possibilità di avvicinare molti contadini al sistema educativo...
Il movimento ha programmi intensi (imponenti direi), di formazione politica. Giovani contadini e contadine che per le condizioni sociali in cui sono nati non avrebbero possibilità di accedere ad alcuna formazione, attraverso la partecipazione al Movimento riescono a intraprendere un processo capace di portarli a livelli elevati di istruzione. Il Movimento ha diverse scuole di formazione. Ne cito due: quella dedicata a Florestan Fernandes, un grande sociologo brasiliano che fu vicino al Movimento, che ha sede vicino a São Paulo, e la scuola di formazione di Caruaru, nel Pernambuco, intitolata al famoso pedagogista Paulo Freire.
I corsi di formazione professionale, molto diffusi ovunque, tendono poi a tenere insieme le conoscenze tradizionali del mondo contadino con quelle più avanzate, in collaborazione con le università brasiliane. C’è un intenso passaggio di conoscenze tra le università, che sono spesso vicine al movimento dei Sem Terra, e gli accampamenti. I corsi universitari vengono tenuti direttamente nelle agrovilas e danno una spinta e un carattere scientifico ad attività che tradizionalmente sono legate a dei saperi antichi, depositati nella tradizione del mondo contadino. Non si può dire quindi che il Movimento Sem Terra sia conservatore, antimodernista, che si basi solo sulla tradizione contadina e che sia ostile alla novità.
Nel libro si citano alcune famiglie che dalle favelas sono andate a vivere nelle comunità dei Sem Terra...
Il Movimento Sem Terra sta anche cercando di organizzare i senzatetto che nelle grandi città lottano per ottenere politiche abitative adeguate. Una delle possibilità aperte è quella di costruire tragitti di ritorno dalle favelas delle periferie urbane a una vita nelle comunità contadine. Attualmente non sono grandi numeri, ma alcuni casi ci sono.
Se interroghiamo le famiglie di contadini che vivono nelle comunità rurali dei Sem Terra, riscontriamo facilmente che la spinta a migliorare il reddito, ad avere più denaro, a poter consumare di più è molto minore di quanto un ricercatore che viene dall’Europa possa aspettarsi. Tra le motivazioni che spingono all’occupazione della terra e a vivere in una comunità rurale c’è piuttosto il bisogno di avere un pezzo di terra di proprietà e soprattutto di poter vivere in condizioni diverse da quelle alle quali si è condannati quando si vive nelle periferie metropolitane.
Uno dei motivi che spingono i lavoratori ad aggregarsi tra di loro, a occupare una terra, a costruire una comunità, è sicuramente quello di sfuggire all’anomia, alla disgregazione, alla solitudine, all’anonimato e alla violenza tipiche dell’ambiente urbano brasiliano. Questa opinione la si incontra costantemente nelle interviste che si fanno alle famiglie degli accampamenti e degli insediamenti.
Quando sono stato in Brasile l’ultima volta, nel 2019, ho potuto visitare alcuni accampamenti di senzatetto a Sao Paolo. Nella metropoli paulista ci sono centinaia di migliaia di persone che vivono per strada. Nel 2019 c’erano diciannove accampamenti con migliaia di persone che si riunivano tra loro per trovare una casa e per avere una possibilità di difendersi e lottare insieme. Uno di questi, che ho visitato, era sorto da una settimana, ed era già composto da duemila persone. Mi dicono che dopo i due anni di pandemia la situazione sia ulteriormente peggiorata.
Gli anni della presidenza di Bolsonaro hanno rappresentato un grandissimo passo indietro per il movimento Sem Terra. Ora si spera di nuovo in Lula che, però, come presidente è stato una cocente delusione per il movimento...
In effetti il movimento Sem Terra, che pur aveva sostenuto con tutte le sue energie Lula, è rimasto profondamente deluso dalla politica agraria da lui condotta a partire dal 2003, anno del suo insediamento. Ci si aspettava, tenendo conto delle promesse fatte, che affrontasse di petto il problema della riforma agraria, che riuscisse a insediare stabilmente sulla terra un numero molto più elevato di contadini di quanto non abbia fatto.
Durante il governo Lula, secondo i dati ufficiali governativi, hanno beneficiato della distribuzione della terra 614.000 famiglie, mentre secondo i dati del movimento dei Sem Terra se ne sarebbero insediate circa la metà: 362.086. Questa situazione è peggiorata durante il governo successivo, quello di Dilma Rousseff, quando le politiche di insediamento dei contadini sono state quasi del tutto abbandonate. Certo è, però, che la svolta indotta dal governo Bolsonaro è stata ben peggiore. Bolsonaro ha cominciato ad attaccare direttamente i Sem Terra, dando vita a pratiche di sgombero degli accampamenti molto più frequenti che in passato, e ha cercato di chiudere le scuole nazionali del movimento in base al principio che queste erano scuole di “indottrinamento” dei bambini e dei ragazzi contadini.
Con Bolsonaro è aumentato anche il numero di persone assassinate, per non parlare della sua politica nei confronti dell’Amazzonia, che tutti conosciamo, per cui i veri latifondisti sarebbero gli indios, con le loro riserve.
Alla luce di tutto ciò, ovviamente il giudizio su Lula è stato un po’ rivisto. Ero in Brasile proprio nel giorno in cui Lula è stato liberato dagli arresti domiciliari e ho potuto vedere come le bandiere dei Sem Terra davanti a casa sua fossero molto più numerose di quelle del Pt, il Partito dei lavoratori. Nelle elezioni del prossimo ottobre, Sem Terra ha dichiarato che sosterrà la candidatura di Lula con tutte le forze.
Contrariamente a quanto si pensa in Europa, la percezione che ho avuto io è che Lula sia ancora molto popolare in Brasile e abbia una possibilità concreta, anche se non scontata, di vincere. Il Pt sta cercando in questo momento di costruire delle alleanze con il centro moderato, che, come nel 2003, è l’unica condizione che gli permetterebbe di vincere.
Sappiamo bene però che anche un nuovo governo Lula non riuscirà a fare una riforma agraria, perché la forza che ha la bancada ruralista, il complesso di forze politiche che sostengono la grande borghesia agraria e le multinazionali del settore agroalimentare, del legno e del settore minerario, è troppo forte per permetterlo. Ciò che ci si può aspettare da Lula è una minore pressione nei confronti dell’Mst, una relativa tolleranza nei confronti degli insediamenti e degli accampamenti che già si sono formati e, forse, una repressione un po’ più blanda nei confronti di quelli che si andranno a formare. Non molto di più.
Sem Terra è anche uno dei fondatori della Via Campesina, un’organizzazione internazionale di agricoltori…
Il movimento della Via Campesina è stato fondato in Belgio nel 1993, e in quel frangente Sem Terra è stato uno dei soggetti più importanti per la sua costituzione. Direi anzi che la cultura su cui si basa il movimento Via Campesina riprende molti dei punti del programma elaborati da Sem Terra nel corso della sua storia. Se pensiamo alla questione di genere, anche le donne della Via Campesina hanno rivendicato una presenza egualitaria in tutti gli organismi di direzione del movimento.
L’Onu ha votato nel 2018 la Dichiarazione dei diritti dei contadini e dei lavoratori nelle aree rurali, Dichiarazione che ha fatto propri molti dei contenuti elaborati dal movimento dei Sem Terra.
Direi che stiamo assistendo a un’espansione della cultura elaborata sin dalle origini dal movimento brasiliano anche all’interno dell’organizzazione che i contadini si sono dati sul piano internazionale.
Da questo punto di vista, inoltre, non va sottovalutata la vittoria che i contadini indiani hanno ottenuto nel novembre scorso, quando il governo Modi ha dovuto rinunciare alla riforma agraria che aveva varato un anno prima dopo le mobilitazioni dei contadini con l’occupazione di una parte della periferia di Nuova Dehli. Credo sia stata una grande vittoria di tutto il movimento contadino e, quindi, se pure avvenuta in un altro posto del mondo, anche dei contadini brasiliani.
Lei è stato ospite nelle loro case. Ha un ricordo personale, per concludere?
Ricordo un accampamento isolato, lontano da ogni centro urbano e situato in una zona impervia e ricoperta di una intricata foresta. Era un paesaggio affascinante, ma selvaggio e primitivo. Sembrava di aver abbandonato ogni scampolo di civiltà. Nell’accampamento le baracche, ricoperte di paglia, erano disperse, lontane tra loro e unite da stradine di terra battuta che correvano lungo crinali scoscesi in un continuo saliscendi, come di montagne russe. Rimasi tre giorni, piuttosto preoccupato perché una pioggia battente aveva trasformato le stradicciole in fiumi di fango e temevo di non potermi muovere per chissà quanto tempo. Ero ospite di una coppia di contadini con due loro nipoti adolescenti in una casupola disadorna con il tetto che faceva acqua e un grande focolare a legna. La donna, di circa cinquant’anni, mentre chiacchieravamo, lavorava con impegno a impastare e a cuocere una quantità impressionante di dolci in una specie di forno. Non poteva lavorare nei campi perché pioveva e allora lavorava in casa per preparare i dolci per una festa che dopo alcuni giorni si sarebbe organizzata per il compleanno della donna più anziana dell’accampamento. Rimasi piuttosto sorpreso quando in un angolo appartato della capanna intravvidi due scaffali pieni delle opere, ben tenute, di Marx, Engels e Gramsci. La mia ospite si era laureata prima in agronomia e poi in filosofia con una tesi, appunto, su Gramsci.
(a cura di Stefano Ignone)
SEM TERRA, EREDI DI SCHIAVI RIBELLI
internazionalismo
Una Città n° 285 / 2022 luglio-agosto
Intervista a Aldo Marchetti
Realizzata da Stefano Ignone
SEM TERRA, EREDI DI SCHIAVI RIBELLI
Una tradizione secolare di schiavismo e di piccole comunità fondate da schiavi ribellatisi; la realtà di 600.000 famiglie di contadini poveri organizzate in migliaia di accampamenti in un sistema misto fra impresa privata famigliare ed economia mutualistica e cooperativistica; l’omicidio, strumento della feroce repressione da parte dei latifondisti; un ruolo nuovo, del tutto paritario, nella famiglia, delle donne contadine. Intervista ad Aldo Marchetti.
Archivio
FABRICA SIN PATRON
Una Città n° 209 / 2014 Gennaio
Realizzata da Barbara Bertoncin
Realizzata da Barbara Bertoncin
Aldo Marchetti ha insegnato Sociologia del lavoro nell’Università Statale di Milano e in quella di Brescia. Giornalista pubblicista, è stato direttore di diverse riviste di cultura. Il libro di cui si parla nell’intervista è Fabbriche aperte, L’esperienza...
Leggi di più
QUEL FORTISSIMO SENSO DI UNIONE
Una Città n° 296 / 2023 ottobre
Realizzata da Barbara Bertoncin
Realizzata da Barbara Bertoncin
Cristiano Tinazzi è un giornalista professionista freelance specializzato in aree di crisi e zone di guerra, fondatore del War reporting training camp.
Frequenti l’Ucraina da diversi anni e i tuoi primi viaggi sono stati proprio nelle zone...
Leggi di più
L'AGGETTIVO "LIBERALE"
Una Città n° 291 / 2023 marzo
Realizzata da Timothy Shenk
Realizzata da Timothy Shenk
Dai socialisti democratici ai populisti di destra, con nel mezzo moltissimi centristi in preda all’ansia, sembra che chiunque convenga sul fatto che il liberalismo sia in grossi guai. Ma che dire delle qualità che i liberali hanno espresso qu...
Leggi di più
THE WAR IS NOT SO FAR
Una Città n° 298 / 2023 dicembre 2023 - gennaio 2024
Realizzata da Antonio Ferrari
Realizzata da Antonio Ferrari
Rita e Aldis
Li incontro nella sede della loro associazione “Together with Ukraine, Tiklu darbnica Riga”. L’associazione ha un laboratorio dove i volontari costruiscono reti mimetiche da inviare in Ucraina per camuffare mezzi e tende ...
Leggi di più
NESSUN DIRITTO ALLA CODARDIA
Una Città n° 290 / 2023 febbraio
Il 24 febbraio 2022, Kiev sarebbe dovuta cadere in quarantotto ore. Un anno dopo, la bandiera ucraina sventola su Kherson. Da un anno a questa parte, gli ucraini ci stanno dando una straordinaria lezione di coraggio. Nelle trincee di Bakhmut e nelle strad...
Leggi di più