La Cestaro Fonderie è una delle realtà produttive del nordest che da anni, in assenza di manodopera locale, ha scelto di aprire agli extracomunitari. Può parlarcene?
La Cestaro è una fonderia di alluminio, è nata nel ’65; all’inizio c’erano due soci che poi si sono separati; nel ’90, è diventata S.r.l. Oggi per più del 50% impiega extracomunitari.
Io ci lavoro dal ’94, mi occupo delle assunzioni; il primo colloquio lo fa il Responsabile Produzione; a quel punto, se lui trova che questa persona va bene per le nostre esigenze, intervengo io: mi passano la documentazione, e io inoltro le pratiche per l’assunzione effettiva.
Quando sono arrivata ovviamente c’era già questa presenza di immigrati; dal libro matricola risulta che hanno iniziato ad assumere immigrati nell’87-’88.
La fonderia da sempre è conosciuta come azienda sporca, come ambiente duro e l’italiano non vuole lavorarci, anche per un preconcetto, perché poi se andassimo a controllare qual è oggi la situazione effettiva, non è così tragica come la descrivono. Oggi gli impianti sono tutti automatizzati, insomma non abbiamo quell’ambiente tetro, che un esterno potrebbe immaginare di trovare in una fonderia; non è un luogo cupo, tutto nero, tutto sporco, assolutamente.
Solo se un’azienda -ma deve sempre trattarsi di fonderia- è in difficoltà, allora vengono da noi a chiedere lavoro anche gli italiani, perché essendo cresciuti in una fonderia, cercano di rimanere nell’ambiente che conoscono. Ma solo ed esclusivamente in questo caso.
Altrimenti... Sì è capitato, li assumiamo, vengono una settimana, dieci giorni, poi trovano qualcosa di meglio e se ne vanno. Magari trovano l’officina meccanica dove il lavoro è anche più pesante e però è più pulito. Credo sia poi la stessa situazione delle concerie, che infatti nell’intera provincia impiegano ormai quasi solo immigrati.
Oggi quanto personale è impiegato?
La Cestaro Fonderie conta due stabilimenti nella provincia di Vicenza, uno qui a Monticello e uno a Bressanvido. A Bressanvido c’è la finitura delle fusioni, che una volta sbavate, vengono mandate in lavorazione, qualora il cliente lo richieda, e infine viene fatta la spedizione. Abbiamo organizzato per avere tutto là. Era inutile sbavare il pezzo e poi farlo ritornare qui come si faceva all’inizio. A Bressanvido la situazione è simile, sia come percentuale di extracomunitari che come tipo di lavoro, perché anche quello non è un lavoro molto pulito naturalmente: devono lavorare con le fusioni, pieni di terra, devono togliere l’anima; anche le problematiche sono le stesse.
Qui alla produzione abbiamo 40 persone, tra cui impiegati, tecnici controllo qualità, produzione, acquisti; gli operai sono 30 e la metà o poco più sono extracomunitari.
Quando sono entrata i marocchini erano in prevalenza tra gli extracomunitari. Ora la composizione è cambiata, anche perché abbiamo cercato di non fare i clan, di assumere anche persone di altre nazionalità. Perché quando poi si creano i clan, si creano anche problemi in azienda. Allo stato attuale sono perlopiù africani, ma negli ultimi anni abbiamo avuto un aumento anche di indiani, più che altro dal Bangladesh, per il resto abbiamo ghanesi, senegalesi, uno della Costa D’Avorio che lavora da noi ormai da parecchi anni, e marocchini. Anche l’impatto con questo ambiente mi sembra buono. Quando li vedo in genere mi informo, chiedo come va e mi dicono "bene"; se poi non è bene, questo non lo so, anche perché io li seguo amministrativamente, per i documenti, per le dichiarazioni dell’azienda per i vari rinnovi, permessi, tessere sanitarie, oppure se hanno qualche problema rispetto al cedolino paga, se vogliono ulteriori informazioni o spiegazioni.
Mi sembra che alla fine però, nonostante l’ambiente, si trovino bene.
C’è anche da dire che quelli che arrivano non hanno alcuna formazione.
La maggior parte arriva dal meridione, perché entrano in Italia dal sud. Dopo un certo periodo di "ambientamento", in cui svolgono lavori vari, ufficialmente non pagati, iniziano a valutare la situazione, si informano, vengono quindi a sapere che al nord c’è più lavoro, per cui si spostano alla ricerca di qualcosa di meglio, e arrivano in Veneto; quasi sempre conoscono qualcuno che è arrivato prima di loro, un amico, un parente, che li ospita.
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Un problema enorme per tutti l ...[continua]
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