Nel 2011 a Mantova è arrivato un gruppo di richiedenti asilo...
Elena Dina. Nel 2011, quando è scoppiata la guerra in Libia, i lavoratori africani presenti nel paese sono stati costretti ad andarsene; alcuni sono arrivati in Italia e sono stati definiti "emergenza Nordafrica”. Vedendoli in televisione, dato che non avevo attività al di fuori della casa, mi sono sentita di impegnarmi nell’insegnamento dell’italiano. Ho conosciuto il primo gruppo arrivato a Mantova, in tutto centoquaranta persone, dislocate dalla prefettura in varie strutture: una cinquantina di persone in un albergo di Mantova vicino alla stazione, una ventina in una Onlus, circa altrettante alla Caritas e altre presso cooperative, bed&breakfast, ecc. Ad agosto 2012, quarantuno avevano già ricevuto qualche forma di protezione internazionale, ottantasette avevano ricevuto il diniego e stavano presentando ricorso, due erano in attesa di risposta, una non aveva ancora avuto il primo colloquio. Le persone disponibili per l’insegnamento e l’alfabetizzazione lavoravano con "Scuole senza frontiere”, un’attività di volontariato già in piedi da tempo a Mantova e che si rivolgeva ai migranti tradizionali. C’erano persone analfabete, persone alfabetizzate in arabo, altre in inglese e in francese. I francofoni erano soprattutto islamici, gli anglofoni erano cristiani di varie denominazioni: pentecostali, battisti, chiesa del settimo giorno, avventisti del settimo giorno, eccetera. La prefettura ha incaricato la provincia, come istituzione, di seguire il gruppo più numeroso, i cinquanta ospiti dell’hotel vicino alla stazione. Sono state avviate varie attività. È stato promosso anche un gruppo di suonatori di tamburo, che si ritrovava tre volte alla settimana proprio in una sede della provincia. Era un importante momento di socializzazione per loro e anche di evasione da quel luogo asfittico dove erano ammassati. Noi insegnanti li abbiamo portati alla piscina comunale, ma loro erano sempre più insofferenti, si sentivano reclusi; da tempo chiedevano di poter essere ospitati in appartamenti presi in affitto e di autogestirsi.
Com’è nato "Mantova solidale”?
Elena. Il collante è stato l’intervento su questo gruppo dell’albergo. Erano coinvolte due o tre insegnanti per l’alfabetizzazione, Rosa, che è un medico, per l’assistenza sanitaria, e altri. Approfitto per dire che queste attività e servizi andavano garantiti a tutti i profughi perché a questo erano destinati i soldi elargiti dallo Stato.
Quei famosi 45 euro a testa...
Elena. Esatto, quei soldi non dovevano servire solo per il vitto e l’alloggio, ma anche per l’alfabetizzazione, l’assistenza legale, l’assistenza medica, i corsi di formazione.
Maria Bacchi. Era la fine del 2012, e si stava chiudendo l’emergenza Nordafrica. I ragazzi cominciavano a sentire l’insofferenza ma anche l’angoscia del futuro. Ricordo che Elena aveva un diavolo per capello; per lei era un chiodo fisso: "Dove andranno i miei scolari?”.
I ragazzi, durante le vacanze di Natale, avevano scritto una lettera e poi avevano telefonato al loro maestro di italiano, dicendo: "Abbiamo deciso di portare tutti i nostri bagagli di fronte alla prefettura, vieni perché devi tradurci la lettera”. Noi, informati di questa cosa, ci siamo riuniti in assemblea; sono venute una ventina di persone disponibili a fondare questa associazione di sostegno per favorire un’autogestione nelle case. Era una scelta sensata per tanti motivi. Pensa solo che con i soldi del mese di proroga, i rifugiati sono vissuti tre mesi in un appartamento, pagandosi l’affitto, il cibo e tutto quanto. Ecco, siamo nati così: di quelle venti persone poi ne sono rimaste sette, otto. Siamo un gruppo sparuto, purtroppo non siamo riusciti ad allargarci più di tanto, abbiamo tanti simpatizzanti ma pochi attivisti.
Elena. Pochi soprattutto dal punto di vista economico; per fortuna, qualcuno lo abbiamo incontrato, tra cui un dentista generosissimo che ha dato un grosso contributo iniziale. Comunque, in quell’occasione è nato il Comitato Mantova Solidale costituito da questo gruppo eterogeneo di medici, insegnanti e amici già impegnati politicamente e socialmente.
A quel punto l’emergenza era stata dichiarata chiusa, quindi non c’erano più fondi. Cos’avete fatto?
Elena ...[continua]
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