Nelle prime pagine del suo saggio troviamo la mappa dei geni delle popolazioni europee creata nel 1978 da Luca Cavalli-Sforza, Paolo Menozzi e Alberto Piazza. Perché questa mappa è importante? E cosa c’entra col tema del suo libro, la rivoluzione neolitica?
Questa mappa è stata cruciale per la storia della genetica, perché l’ha trasformata da una scienza in cui, in sostanza, ci si occupava di malattie ereditarie, in una disciplina in grado di esplorare il nostro passato. Cavalli-Sforza e i suoi collaboratori hanno trovato il modo di rappresentare su una carta geografica come variano, nello spazio, tanti geni, tutti assieme. In questo modo, la carta geografica che ne risulta riassume la variabilità genetica degli europei. E ci si accorge plasticamente di una cosa: che per l’Europa e il Vicino Oriente è piuttosto semplice descrivere come vanno le cose. La variabilità genetica è disposta come su un grande piano inclinato, che parte da sud-est e arriva a nord-ovest. Le differenze aumentano impercettibilmente, mano a mano che ci spostiamo verso l’alto e verso sinistra. Com’è possibile che i geni siano disposti in questa maniera? Non può essere stato il caso a disporli in questo modo – se fosse stata opera della semplice deriva genetica, la mappa avrebbe l’aspetto di un caotico vestito d’Arlecchino. Dev’essere stato allora un fenomeno migratorio. Cavalli-Sforza individua questa migrazione nel processo che, diecimila anni fa, ha diffuso le attività agricole in tutta Europa, proprio a partire dall’Anatolia, o dalla Mezzaluna Fertile: la rivoluzione neolitica. Dal punto di vista archeologico, questo fatto è corroborato da dati molto solidi. Al passaggio da un sistema di caccia-raccolta a una società basata sull’agricoltura, compaiono, nei siti archeologici, grandi concentrazioni di semi, strumenti agricoli e contenitori per cibo in ceramica.
La conclusione di tutto questo è che l’agricoltura, in Europa, non si è diffusa attraverso un processo culturale, ovvero per imitazione di una tecnologia; ma grazie alla migrazione di popolazioni che coltivavano i campi e che, gradualmente, si sono spostate verso nord-ovest, in cerca di nuovi territori da coltivare. Chiaramente questa contrapposizione fra “via culturale” e “via migratoria” è totalmente schematica. Ci sono naturalmente state delle sfumature, che oggi conosciamo. Ad esempio, grazie agli studi del biologo danese Esker Willerslev, sappiamo che in Europa Orientale -per capirci, la zona a Est di una linea immaginaria che va dal Mar Baltico al Mar Nero- le popolazioni neolitiche di agricoltori sono strettamente legate, in linea di discendenza, con quelle precedenti, mesolitiche, di cacciatori-raccoglitori. Ma nel resto dell’Europa è avvenuta una grande migrazione, al punto che, per la Danimarca e l’Inghilterra, alcuni autori molto rispettabili sono arrivati a parlare di sostituzione etnica. Dal punto di vista genetico risulta un completo turnover delle popolazioni. Sono arrivati gli agricoltori neolitici e hanno rimpiazzato le popolazioni di cacciatori-raccoglitori precedenti. Gli antenati degli europei di diecimila anni fa, in buona parte, dobbiamo andare a cercarli in Anatolia.
È interessante la differenza che si fa, in genetica, tra migrazione, fenomeno veloce, e “diffusione demica”, caratterizzata da tempi molto più lunghi. Tempi necessari perché avvenga una sostituzione etnica?
Sì, c’è bisogno di tempi lunghi perché cambino i connotati genetici delle popolazioni. Ma c’è bisogno anche che la popolazione che arriva sia in grado di spostare quella precedente. Nella preistoria gli uomini erano pochi, e i casi di sostituzione etnica non mancano. Naturalmente non sappiamo con esattezza cosa sia successo, e come. Sappiamo solo che qualcuno non si è riprodotto più, mentre qualcun altro ha avuto più successo; tanto che, alla fine, chi viveva in un certo posto non era (e lo dimost ...[continua]
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