Christian Ekanau. 44 anni, è nato in Nigeria, nello stato di Imo, da cui poi la famiglia si è traferita nell’Enugu. Oggi vive a Imola.

Vivo in Italia da venticinque anni e ogni tanto torno a casa a trovare mia moglie e i miei figli. La mia è una grande famiglia. Mio padre ha sposato due donne, da cui ha avuto 17 figli, poi sono arrivati 50 nipoti e 27 bisnipoti... Quella della poligamia è una tradizione antica, in Nigeria. In passato, ciò che faceva di un nigeriano un uomo ricco erano le mogli, doveva averne due o tre, e riuscire a mantenerle, perché tre mogli che lavorassero nel suo campo volevano dire che avrebbe potuto affrontare qualunque carestia. Mio nonno ne aveva quattro, di mogli. Oggi però i tempi sono cambiati: tanti sposano una donna sola.
Anch’io ho una moglie, che mi ha dato cinque figli. Il primo, purtroppo, è morto che era piccolo. Dopo quella tragedia sono arrivati due gemelli, un ragazzo e una ragazza, che ora hanno 16 anni, poi una figlia femmina che ne ha 14 e un maschio che ne ha 12. Vanno in una scuola privata cristiana. Certo, costa, tra le divise, le scarpe, la tariffa per il bus, ma la scuola pubblica è un disastro, i bambini rischiano di saltare mesi di lezioni perché gli insegnanti entrano in sciopero di continuo, si perde un sacco tempo. Alla scuola privata, invece, imparano in fretta. Si vede la differenza!

Ora abito a Imola e faccio il venditore ambulante. Sono dovuto venire via dalla Nigeria appena finite le scuole superiori. L’economia da noi era un disastro, il tasso di cambio era tale per cui se fossi riuscito in Europa a tirare su anche solo mille euro, in Nigeria sarebbero diventati tanti soldi.
È per questo che tanti nigeriani sono partiti. Prima sono andato in Germania, ho speso un bel po’ di soldi e ho spedito un carico da Monaco pieno di borse, computer, tv, frigo, scarpe, vestiti… Quando però il cargo è arrivato a Lagos, tutta la merce si era rovinata. Così ho dovuto ricominciare daccapo, ma non potevo più investire tanto denaro. Dopo che la mia prima esperienza era andata male, sono partito nuovamente, stavolta per l’Italia. Ho fatto il visto all’ambasciata italiana e sono arrivato con l’aereo, a Fiumicino, Roma. Certo, arrivare è stato più facile di quanto non lo sia adesso, ma la vita, quella no. Era dura anche allora. Per settimane ho dormito in macchina, altre volte all’autogrill o in stazione.
Ho girato molto. Dopo Roma, Napoli; dopo Napoli, Padova. Lì ho trascorso alcuni anni. Dopo Padova, sono andato ad Ancona, dove avevo trovato un buon lavoro in un pollificio; dopo un po’ mi ha assunto un marmista, ma con la crisi ho perso anche quel lavoro e non ho più trovato un posto. Un lavoro vero per me non c’è più, così ora faccio il venditore ambulante.
All’inizio non è stato facile, perché non parlavo neanche l’italiano: se non sai nemmeno comunicare con qualcuno, come fai a farci degli affari? Ora mi faccio capire, parlo un italiano "di strada” e ho i miei clienti. So dove andare nelle varie città, so che se suono a quel campanello mi apriranno e mi inviteranno a entrare. Arrivo in treno, poi giro per la città a piedi, mi incammino fino ai paesi vicini e suono ai campanelli.
La prima volta che incontro un cliente, cerco di convincerlo della mia onestà, che non sprecherò i soldi in alcol o prostitute, ma li manderò alla mia famiglia. E una volta che ci sono riuscito, mi dicono: "Ecco, tieni 10, 20, 50 euro...”, oppure: "Ora posso darti solo questo, torna fra una settimana” o "fra un mese”. Ci sono vecchietti che quando gli arriva la pensione tengono da parte dei soldi per me. Gli italiani sono molto diffidenti all’inizio, ma non è razzismo, è perché non ti conoscono. Una volta che t’hanno conosciuto, quando sanno di potersi fidare, ti invitano a mangiare insieme, ti offrono un letto... Quando torno in Nigeria porto sempre dei regali ai miei figli: scarpe, orologi, telefonini, vestiti... Li compro a Napoli, dove costano meno che al nord. I miei figli, come tanti altri ragazzi africani, sono curiosi della vita che si fa qui in Europa: guardando la vita dei bianchi alla tv pensano che qui sia un paradiso, che tutti siano ricchi... Non sanno che le cose non stanno così. Io non voglio che patiscano quello che ho passato io: voglio che vengano qui, certo, ma da turisti. Perché tutti vogliono vedere il mondo, ma poi vogliono tornare a casa.

L’anno scorso sono dovuto tornare in Nigeria per il funerale di mio padre, che era il capo della famiglia.
...[continua]

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