Ivone Cacciavillani è avvocato amministrativista e nel 2016 festeggerà sessant’anni di toga. È autore di numerose pubblicazioni giuridiche e di oltre quaranta saggi sulla storia delle istituzioni della Repubblica Serenissima. Questa intervista prende spunto dal suo ultimo libro, L’articolo due (Il Poligrafo, Padova, 2014) pubblicato con il patrocinio del Centro di Servizio per il Volontariato di Venezia.

Lei più volte nel libro parla dell’articolo 2 della Costituzione, che però, a differenza dell’art. 3 che è sempre citatissimo, non è molto conosciuto. Ci può spiegare?
L’art. 2 è il segno più importante del "miracolo” della Costituzione italiana. Era assai vivo il dibattito su uguaglianza comunista (il popolo, la classe); c’era la spinta cattolica sull’apertura (La Pira, Dossetti), e il liberalismo (il laissez-faire...). L’esser riusciti a partorire una sintesi straordinaria di tutte queste spinte eterogenee in lotta tra loro, fu un vero miracolo. In quel 1946 c’erano quattrocentocinquanta persone, gente che non aveva nessuna esperienza parlamentare, tranne Sturzo e altri tre o quattro: il resto proveniva dalle estrazioni più varie (per fare un esempio, De Gasperi faceva il bibliotecario) e c’erano, sì, personalità di spicco, come Mortati, ma nel complesso è da questo mix a dir poco eterogeneo che è scaturita quella che nella prima parte è certamente la più "bella” costituzione del mondo. Di cui, ripeto, il segno distintivo è proprio l’art. 2, la solidarietà, cioè il "non puoi girarti dall’altra parte”, è "cosa tua”; e questo sia come singolo, sia nelle formazioni sociali. Nel libro racconto un aneddoto anche carino: nella versione ormai in stampa avevo citato la scritta del frontone del tempio di Delfo (settimo secolo avanti Cristo): "metròs antropos”, l’uomo è il "metro” di tutte le cose; mio nipote, che fa la quinta liceo, dice: "Nonno, guarda che metròs non va bene, il neutro della seconda è metron”. Ho dovuto telefonare e ho fatto in tempo a correggere la bozza già in stampa.
E a proposito di questo discorso della centralità dell’individuo, bisognerebbe tirar fuori le teorie d’un Bartolo di Sassoferrato, fine del 1100, sul subjectum juris: il mondo intero non vale un soggetto, che è un valore assoluto. La vita è qualcosa di assoluto, di cui non può disporre nessuno. Ecco in questo articolo, c’è stata questa fusione, non so come, ma è scoccata questa scintilla. E badate che nessuno ci fa caso; ho visto i libri di diritto costituzionale, sui quali studiano i miei nipoti: sull’articolo 2 basta una mezza paginetta e via, mentre invece è veramente la base di tutto. Ferma il mondo che voglio scendere! Sono io il centro.
A parte questo, l’uomo al centro e la solidarietà, colpisce il fatto che la solidarietà è un dovere inderogabile, di cogenza dell’art. 2.
Infatti: tu non fai il tuo dovere se non partecipi. Sul punto è d’obbligo un cenno sull’azione popolare. Nel libro me la prendo perché tutta la nostra giurisprudenza è ancora abbarbicata al codice di procedura civile del ’40, articolo 100, che richiede un "interesse personale ed economico”, per cui hai diritto al danno materiale, ma non al danno morale se non è espressamente previsto dal codice del ’42. Questa segmentazione porta a far sì che tu, sì, avresti ragione, ma non sei legittimato a farla valere. E io mi chiedo: com’è concepibile che la stessa Corte suprema continui ad applicare principi del ’40, il codice di procedura, e del ’42, Codice Civile, quando nel ’48 è intervenuta questa novità che ha cambiato tutto e dopo che c’è stata la sentenza n. 1 della Corte Costituzionale del’56, che ha affermato come l’illegittimità costituzionale di una legge possa derivare anche dalla sua non conciliabilità con le norme costituzionali sopraggiunte?
In realtà, noi siamo andati avanti dal ’48 (anno di entrata in vigore della costituzione) al ’91 con un ordinamento giudiziario del ’31, il cui art. 5 diceva che i giudici devono essere nominati da sua maestà il re. Quindi, siamo andati avanti cinquant’anni con giudici che dovremmo pensare fasulli, perché nessuno aveva il decreto del re, visto che il re non c’era più. I Giudici sono stati nominati dal Presidente della Repubblica, per buon senso, non per adattamento legislativo.
Ma non sempre il buon senso è sufficiente; ci sono questioni di fondo e di sostanza (come l’esempio del danno morale), su cui la giurisprudenza non riesce a rinnovarsi, mentre il Foro non riesce a farle emerg ...[continua]

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