Angela, sappiamo che ha una lunga esperienza come magliaia. Quando ha cominciato?
Angela. Ho imparato da piccola da mia zia, poi, a 15 anni, sono andata a lavorare in una bottega. Quando avevo ventitré anni, sfogliando "Amica” trovai un annuncio: "Se sei magliaia, giovane, e disponi di tre milioni, ti aiutiamo ad aprire un negozio Phildar in franchising”. Phildar è un marchio francese. Incuriosita, la domenica mi misi a scrivere la lettera: "Sono giovane, sono magliaia... Però non ho tre milioni!”.
Spedii la raccomandata lunedì mattina, quasi per scherzo, pensando che venisse cestinata. Il giovedì arrivò una telefonata a casa per me, ma ero al lavoro. Mia madre mi riferì: "Ha telefonato uno con un accento strano... Che hai combinato?”. Era l’ispettore della Phildar. Così fui costretta a dirlo ai miei. Mio padre disse: "Ma sei matta? Di ’sti tempi vuoi aprire un negozio?”. Era il 1973, un anno di cambiamento, era stata introdotta l’Iva, la dichiarazione dei redditi, i corrispettivi per chi aveva un’attività in proprio, e tanti commercianti di allora, abituati col forfait e il dazio, volevano chiudere. E mio padre: "Ora che tutti vogliono chiudere, tu vuoi aprire un’attività! E chi te li dà tre milioni?!”.
Tre milioni erano tanti soldi...
Angela. Ci si comprava casa! Comunque l’ispettore venne a Matera già il sabato.
Con me feci restare pure mio fratello di vent’anni, che faceva già il piccolo rappresentante ed era molto addentro a queste cose. Questo signore ci vedeva scettici. Così fece: "Vi faccio vedere un negozio, così vi rendete conto”. Ci portò a Potenza, dove c’era un loro franchising: non riuscivamo a parlare col titolare dalla fila che c’era...
Tornati a casa, ci fece la proposta. "Visto che non avete i tre milioni, facciamo un altro tipo di contratto. Però mi deve firmare una fideiussione”. Serviva la firma di mio padre, che all’inizio non voleva. Diceva: "Io una casa ho! Se me la fai perdere...”.
Però alla fine ha firmato...
Angela. E dopo è andata bene. Aprimmo in via Lucana qui a Matera, una strada centrale, e fin da subito c’era veramente la fila. I clienti, oltre a comprare, mi chiedevano consigli: "Come faccio a fare la maglia?”, e io insegnavo: "Ti faccio vedere”.
Un giorno venne l’ispettore di zona da noi. Vide che era pieno, io sempre in giro tra la gente a far vedere punti, e si complimentò: "Signorina, ha un modo di vendere diverso, dà consulenza... Consiglieremo a tutti i punti vendita di adottare il suo sistema”. Così mandarono una circolare che arrivò anche a me: "Per vendere la lana bisogna fare così”.
Andò bene per un bel po’. Eravamo conosciuti da tutta la città, perché il lavoro a maglia non è di una classe sociale sola. È una passione che abbraccia tante fasce e per avere un consiglio, anche le più "in” hanno aspettato il loro turno, in fila.
Quando sono cominciate le difficoltà?
Angela. Negli anni Novanta, quando ci fu un calo del filato. Arrivò il tailleur, che sostituì la maglia. Avemmo un po’ di problemi, così aggiungemmo la merceria e l’intimo, giusto per tamponare. Ma l’attività era diventata molto commerciale e a me il commercio non piace. Vendendo i filati fornivo un servizio su un prodotto che nasceva dal niente. Un filo diventava una cosa.
A quel punto invece non ci mettevo più del mio, poi dovevo tenere competitivi i prezzi, stare attenta ad avere il marchio che gli altri non avevano... A un certo punto mi sono stancata. Così, nel 2009, ho detto a mio marito: "Sai che facciamo? Io vado in pensione. Andiamo nei Sassi e faccio solo l’artigiana”. Ed eccomi qui. Poi, per tenere il contatto col giro delle amiche del negozio ho pensato di dar vita al "Filo Cafè”: con le signore che vogliono venire, ci incontriamo alcuni pomeriggi in bottega per lavorare a maglia.
Com’è il suo mestiere qui, rispetto a quando ha cominciato e al negozio?
Angela. Occupandomi di vendita, con tante persone da seguire, non riuscivo a esprimere la creatività. Qui, con la bottega, è diverso, è più rilassante e col "Filo cafè” sono sempre in compagnia... Si lavora e si parla, commentiamo i film, a volte andiamo al cinema, leggiamo insieme un libro, ce lo scambia ...[continua]
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