Wlodek Goldkorn, giornalista, è collaboratore de "L’Espresso”.

Partiamo facendo il quadro di una situazione in cui un nemico terribile è comparso in una situazione complicatissima...
Possiamo partire da due storie, anche da tre, volendo. Potremmo partire dalla caduta del Muro di Berlino che fa crollare anche l’equilibrio che esisteva nel Medio Oriente; potremmo partire ovviamente dall’11 settembre oppure dalle primavere arabe. Per non andare troppo lontano, partiamo da queste. Le Primavere arabe portavano con sé l’idea che è il popolo che decide. A quel punto la domanda "Chi è il popolo”, seguita immediatamente da "Chi è lo Stato?”, bastano a far crollare lo status quo di buona parte del Medio Oriente che si reggeva sulle frontiere mediorientali stabilite dall’accordo Sykes-Picot del 1916. Quell’equilibrio non regge più perché non c’è più niente, per cui, con una certa coerenza, uno possa dirsi iracheno o siriano o libanese o libico. Forse va detto che quell’equilibrio post-impero ottomano aveva iniziato a non reggere più già dall’invasione dell’Iraq. Il fatto è che quando non reggono più i confini degli stati, emergono questioni identitarie. L’Isis è innanzitutto un’entità identitaria: sunnita.
La riprova sta nel fatto che i quadri del Baath -che era il partito laico e laicista, con forti influenze comuniste-fasciste, costituito da Michel Aflaq che, fra l’altro, era un cristiano- sono oggi i quadri dell’Isis, del califfato, perché sono sunniti e vogliono uno stato sunnita. Si fa un po’ fatica a capire questo perché si fa ancora molta confusione tra Isis a Al Qaeda, e sono due cose molto diverse. Per analogia si potrebbe dire che confonderli sarebbe come se negli anni Trenta qualcuno avesse confuso i trotzkisti con gli stalinisti! Non erano la stessa cosa, no? Poi le analogie non sempre sono buone, però direi che l’Isis è più stalinista, mentre Al Qaeda è più trotzkista, è più movimentista e anche più autenticamente religiosa; è sunnita, ma non mira a costituire uno stato, ha una visione più mondiale. Isis vuole costituire uno stato, è più statalista. Basta leggere la rivista dell’Isis, Dabiq, che si trova facilmente su internet, in inglese, per vedere che, per loro, il primo avversario è proprio Al Qaeda, considerata "deviazionista” e "avventurista”. Quindi l’Isis è innanzitutto questo, il tentativo di fondare uno stato sunnita. Dove lo faranno? Probabilmente in Iraq, perché lì ci sono condizioni favorevoli per via del deserto; stanarli da lì sarebbe estremamente difficile.
E la Siria?
Ecco, la Siria è un insieme di entità, di minoranze, ci sono gli alawiti che sono sciiti, gli sciiti, i cristiani, i sunniti, i curdi. Sulla Siria c’è un progetto molto chiaro di Putin, che non si risolve nel lasciare Assad al potere, ma in una sorta di cantonizzazione svizzera del paese, dove Assad avrà un ruolo. Ma attenzione su Assad, perché bisogna capire che pur essendo sicuramente un tiranno sanguinario, rappresenta anche interessi reali o paure reali di tutti quelli che hanno paura dei sunniti; non a caso tutte le minoranze, in qualche modo, lo appoggiano. Questo, comunque, penso sia il progetto di Putin. In tutto questo rimescolamento ci sono poi i curdi, che sono paradossalmente l’unica vera nazione mediorientale che però non ha lo stato. I curdi stanno combattendo per noi, per cui alla fine di questa storia in qualche modo ci presenteranno il conto. E quel conto può essere uno stato curdo. È anche chiaro che la cantonizzazione della Siria significa che i curdi avranno lì un loro stato, un mini-stato come ce l’hanno già in Iraq, e la prossima, vien da sé, potrebbe essere la Turchia. I curdi sono molto bravi a dire che non vogliono uno stato, e può darsi anche che lo dicano perché così ovviano alle differenze tra di loro, per cui ogni fazione curda si prende un pezzo di territorio e se lo gestisce, ma di fronte alla possibilità reale di avere uno stato...
I curdi oggi sono anche una carta nelle mani di Putin, il cui interesse (che è poi il vecchio interesse di sempre della Russia), è arrivare ai mari caldi, al Mediterraneo, quindi attraverso l’Iran, il Kurdistan, se esisterà, la Siria. Ovviamente c’è il problema della Turchia, lì in mezzo.
E l’Occidente starebbe a guardare mentre Putin trae vantaggio dalla lotta all’Isis?
Due considerazioni. La prima riguarda le leadership occidentali. Ho pensato molto a Hollande in questi giorni. Allora, io immagino che D ...[continua]

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