Wlodek Goldkorn è stato per molti anni il responsabile culturale de "L’Espresso”. Ha lasciato la Polonia nel 1968. Vive a Firenze. Ha scritto numerosi saggi sull’ebraismo. Il suo ultimo libro, autobiografico, è Il bambino nella neve, Feltrinelli.

L’ultima volta che ci siamo visti tu hai parlato di rischio di finlandizzazione dell’Europa. Eravamo rimasti lì. Poi nel frattempo sono successe molte cose...
Oggi non lo so, perché, all’improvviso, sono emersi degli anticorpi. Intanto la Francia ha retto contro Le Pen. In Olanda Wilders non è andato molto avanti, e poi io non credo in una vittoria dei Cinquestelle in Italia. Diciamo così, che se il Pd non farà di tutto per farli vincere, cosa tutta da vedere, credo che sia Grillo che Salvini non abbiano molte chances per andare avanti. La loro spinta propulsiva mi sembra esaurita. Però sono cose così, a breve-medio termine. Resta il problema di Macron. Se certamente è una cosa buona avere fermato Marine Le Pen, dobbiamo vedere che cosa farà. Non lo sappiamo. A noi tutti piace Macron per via di sua moglie, no? Ed è una cosa molto buona, buonissima, in fondo è stata la vittoria di Brigitte Trognon, la vittoria, cioè, di una certa civiltà. Possiamo dirlo così: con Macron ha vinto la città contro la campagna, ha vinto quella parte del mondo che si oppone strenuamente ai fondamentalismi e a ogni tradizione maschilista e patriarcale, che si oppone a quel che rappresenta l’Isis, a quella parte che pensa che è meglio la morte allo champagne. Lo dico senza disprezzo: dopo il Bataclan in un articolo sull’"Espresso” ho scritto che dobbiamo continuare a bere champagne, perché è una forma di resistenza: a noi lo champagne a loro la morte.
Dopodiché, però, rimangono tutti i problemi strutturali connessi alla globalizzazione. La mia paura è che gli storici del futuro diranno: "Ma guarda questi coglioni degli europei che hanno gioito per la vittoria di Macron, per aver arginato Wilders, per avere resi innocui gli xenofobi tedeschi, per aver arrestato i populismi italiani, mentre tutta quella roba lì era solo il canto del cigno”. (Una parentesi: li ho citati tutti insieme, ma credo che i Cinquestelle non abbiano tutta la carica xenofoba e razzista che hanno gli altri, ce ne hanno un po’ ma non in quella misura lì; sono un fenomeno molto più complesso).
Sì, io temo che quel problema, della globalizzazione, rimanga e sul da farsi io non ho niente da dire. La globalizzazione sta distruggendo tutto il mondo che abbiamo conosciuto e il mondo nuovo nessuno di noi è in grado di vederlo.
Gli operai che van di là... Una cosa impressionante.
Gli operai che vanno di là sono una cosa impressionante ma anche comprensibile, molto comprensibile. Io penso questo: la nostra generazione ha scommesso sugli operai, e sull’importanza degli operai, non solo per un sentimento di solidarietà con gli sfruttati e gli oppressi, anche per questo, ma non solo per questo; il motivo principale era perché vedevamo negli operai, come insegnava Karl Marx, la forza emancipatoria. Erano loro il soggetto della rivoluzione, il soggetto del processo di emancipazione.
Per questo andavamo a volantinare davanti alle fabbriche. Ma allora dai cancelli della Fiat di Torino passavano quasi 70mila operai. La fabbrica era una città. Oggi sono poche migliaia, che fanno parte di un’umanità dolente che ha sete di giustizia. E però non sono soggetti di nulla e non possono essere soggetti di nulla perché, come racconta Bauman, non esistono più in Occidente le città-fabbrica come erano Torino, Manchester, in Polonia Lodz, e tante altre realtà nel mondo; non esistono più quartieri operai con la loro cultura, con quella solidarietà spontanea, normale, tra le persone, dove il tuo vicino di casa era qualcuno con cui tu lavoravi tutta la vita fianco a fianco. C’erano dei legami spontanei, che poi venivano organizzati dai sindacati, dai partiti politici con un orizzonte politico utopistico ma poi, molto spesso, anche con una prassi molto concreta, riformatrice nel senso buono della parola. Quindi se gli operai non sono più il soggetto della storia, ma non nel senso di una trasformazione rivoluzionaria a cui nessuno di noi crede più, ma in quello del cambiamento, bisogna pensare chi può esserlo oggi. E questo nessuno di noi lo sa. Detto questo, resta il problema che non si può tollerare quello che sta succedendo agli operai. Se hai visto il ciclo delle trasmissioni di Gad Lerner sugli operai, che è bellissimo, a ...[continua]

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