Cherifa Keddar è presidente dell’Associazione familiari vittime del terrorismo, di Blida.

Avevate avuto dei segnali del fatto di essere entrati nel mirino dei terroristi?
Beh, intanto abitavamo in un paese in cui erano molte le donne che portavano il fazzoletto. Gli stessi islamisti avevano chiesto alle donne, di portare il fazzoletto e quasi tutte l’avevano messo. Alla fine, a girare senza, c’ero io, mia sorella e mia cognata. Per di più tutte tre abitavamo nella stessa casa, due appartamenti, ma con un’unica entrata sulla strada, quindi davamo nell’occhio. Io poi avevo lavorato anche al seggio elettorale... La madre dei due giovani, che poi si sarebbero rivelati terroristi, era andata a trovare mia madre e le aveva detto: "Tua figlia dovrebbe smettere di andare in macchina perché altrimenti la rapiranno; se vuole salvarsi la vita deve lasciar perdere la macchina". Poi mia madre stessa si era fatta notare, perché mentre seguiva il funerale di mio zio, assassinato l’11 marzo ’96, aveva accusato gli islamisti di essere assassini, criminali che non avevano niente a che vedere con la religione. Dopo il funerale due tizi erano andati da mio fratello a dirgli: "Fai attenzione, perché tua madre è sulla lista dei condannati, la possono far fuori da un giorno all’altro". Allora abbiamo trovato una casa in città e stavamo già per traslocare, quando mio fratello, che non voleva venire con noi, ha detto: "Perché dovrei traslocare, è mia madre che è condannata, lei deve cambiare casa, non io, non sono certo quei mascalzoni che mi faranno lasciare la mia casa!". A quel punto mia madre si è rifiutata di lasciarlo solo, così siamo rimasti e poi tre mesi dopo...
Molte cose io le ho sapute dopo. Per esempio che anche mio fratello era già stato minacciato. Solo dopo la sua morte, però, ho scoperto le lettere fra le sue carte: continuamente gli chiedevano dei soldi e lui si rifiutava di darne. E pensare che mia madre, senza sapere che glieli stavano già chiedendo, gli diceva sempre: "Se dovessero venire a chiederti dei soldi, daglieli", e lui a rassicurarla: "E’ normale, non ti preoccupare, non appena me li chiederanno, glieli darò". A un amico, invece, con il quale si era confidato e al quale aveva fatto vedere le lettere, aveva detto: "Ricevo delle lettere, ma il giorno in cui prenderanno i miei soldi saranno già passati sul mio corpo".
Può raccontarci cos’è successo il 24 giugno ’96?
Un gruppo di persone hanno assalito la nostra casa, ci hanno tenuto in ostaggio per qualche ora, poi verso mezzanotte hanno assassinato prima mio fratello, massacrandolo con una sbarra di ferro dopo avergli legato mani e piedi e bendato gli occhi e la bocca; poi hanno detto che mia sorella doveva andare con loro, e siccome mia madre si opponeva, le hanno detto che se non potevano prendere mia sorella l’avrebbero sgozzata subito. Allora lei ha detto: "E’ meglio cominciare da me, non posso guardare mia figlia andarsene con voi, non so quello che le farete, non posso lasciarla andare". Ma a un certo momento mia sorella ha spinto mia madre da parte dicendole: "Non ti preoccupare, non ti preoccupare non succederà proprio niente".
Tutto questo, però, me lo ha raccontato poi mia madre perché nel frattempo io ero riuscita a fuggire dalla finestra della mia camera (loro avevano controllato tutte le stanze e le inferriate alle finestre, senza immaginare che io potessi aprire l’inferriata con le chiavi) ed ero andata a cercare i servizi di sicurezza. Quando sono tornata con quelli della sicurezza mia sorella, l’altra, è uscita di corsa e mi ha gridato di far presto, perché avevano sparato a Selima. Era successo che in un primo momento se ne erano andati tutti con mia sorella e poi erano tornati a cercare me. Mia madre mi ha raccontato che, dopo aver frugato tutte le stanze, l’assalitore ha perso la testa, si è messo a gridare ai compagni: "E’ fuggita, è fuggita, bisogna che ce ne andiamo". A quel punto hanno sparato a mia sorella, mia madre è accorsa, le hanno dato un calcio, l’hanno scaraventata a terra e le hanno anche sparato due colpi proprio sulla nuca, ma le pallottole non sono penetrate nella testa, era ustionata nel collo, i capelli erano bruciati, ma per fortuna le pallottole non erano penetrate nella testa. Quando sono entrata, mia sorella era ancora viva, ma non cosciente perché guardava nel vuoto, respirava, il cuore batteva ancora, ma non era cosciente perché ho tentato di parlarle e lei non rispondeva, non si muoveva. L’ho ...[continua]

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