Fabrizio Battistelli insegna Sociologia nell’Università di Roma La Sapienza; presidente dell’Iriad (Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo). Il libro di cui si parla nell’intervista è La sicurezza e la sua ombra. Terrorismo, panico, costruzione della minaccia (Donzelli, 2016).

Nei tuoi studi cerchi di affrontare la questione della sicurezza senza pregiudizi.
Il mio obiettivo è "sdoganare” le questioni della sicurezza dall’influenza ideologica che rende qualunque domanda le riguardi una domanda di destra. Il primo sdoganamento è di principio; di per sé le domande sociali non sono né di destra né di sinistra, le risposte invece sono di destra oppure di sinistra. Essere preoccupati per un danno che può intervenire nella vita di una persona o di un gruppo non è di destra, è di destra correre a impugnare un’arma prima di aver ragionato sulla natura del danno e su come è giusto e possibile prevenirlo. Il tutto, naturalmente, dopo aver verificato l’esistenza o meno del danno, dato che vari allarmi sono falsi o falsificati. Il secondo sdoganamento è operativo: dobbiamo liberarci del frullato mediatico, tipo telegiornale h24, per cui le fonti di insicurezza vengono infilate in un unico calderone e presentate alla rinfusa al cittadino. Anche un brillante e assiduo pensatore della modernità come Bauman mette insieme emergenze differenti ed estranee l’una all’altra, quali l’attacco alle Torri gemelle, l’uragano Katrina e la crisi petrolifera (in Paura liquida). Se è vero che tanti stress convergono oggi sulla persona e sulla società e che per comprenderli è indispensabile esaminarli tutti, non significa che tutti abbiano la medesima origine e determinino i medesimi risultati. Prima bisogna verificare se un fenomeno o evento è fonte di danni o di benefici; poi, se è effettivamente fonte di danni, bisogna verificare se è intenzionale o meno. Quest’ultimo aspetto cambia drasticamente la natura della prevenzione, a seconda che il danno sia inintenzionale (un pericolo naturale), oppure sia dotato di un’intenzione positiva che fallisce (un rischio), o infine che sia dotato di un’intenzione negativa (una minaccia).
Equiparare pericoli, rischi e minacce è sbagliato. Ma anche la tendenza a dire che "tutto è minaccia” è pericoloso.
Dire che "tutto è una minaccia” è una posizione razionale se la razionalità consiste nella massimizzazione del proprio utile, cioè di quella sorta di "denaro contante” che per i politici è il consenso elettorale e per i mass media è l’audience. Nel primo caso,  vengono alla mente i personaggi che nel mio libro definisco "maschere della commedia dell’arte” politica, alcuni dei quali così famosi oggi da non avere bisogno di essere nominati.
Nel secondo caso, anche giornalisti dei talk show meno superficiali indulgono al trucco acchiappa-lettori della "minaccia” e titolano i loro libri Prigionieri dell’Islam (di Lilli Gruber) oppure L’Assedio (di Massimo Franco). Anche se poi Gruber spiega che dell’Islam sono prigionieri non solamente quei musulmani che fanno propria un’interpretazione retrograda del Corano, ma lo siamo anche noi, prigionieri "di questa paura e dei nostri pregiudizi”.
Come evitare allora che il titolo appaia "ingannevole” ai "meno attrezzati”?, si chiede Antonio Ferrari sul "Corriere della Sera” del 28 aprile 2016. Ecco l’interpretazione autentica: "Quel Prigionieri dell’Islam vuol dire che noi siamo corresponsabili delle nostre paure, perché finora non abbiamo avuto tempo o voglia di conoscere davvero questo nuovo compagno di strada”. Beh, detto così è un’altra cosa. A sua volta, spiega Massimo Franco: "Un milione di migranti in Europa nel 2015, è giusto definirlo un assedio? O sarebbe più corretto parlare di "sindrome dell’assedio?”. Già, allora perché non intitolare il libro "La sindrome dell’assedio”? D’altro canto, anche mettere sullo stesso piano pericoli, rischi e minacce è un errore. Fanno così gli "esperti”, cioè gli studiosi di diritto e di scienze sociali che, essendo in maggioranza progressisti, tendono a ignorare l’esistenza di minacce, cioè l’antico e tuttora irrisolto problema del male che è nel mondo (il kantiano "legno torto” degli esseri umani). Siccome, come mostra l’esperienza storica, una minaccia di arrecare danni gravi e meno gravi è effettivamente prospettata da alcuni (non a caso definibili come "malintenzionati”), costoro vanno fermati: con la prevenzione sociale quando si è in tempo, con il contrasto delle istituzioni p ...[continua]

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