Gli allevamenti più intensivi, dove gli animali sono perennemente in gabbia, sono quelli avicoli, di polli, faraone, tacchini; ma anche quelli dei conigli, animali che in natura vivono addirittura sotto terra, scavano dei cunicoli (di qui il loro nome); o ancora quelli  dei suini da carne, allevati in spazi ridottissimi, addirittura uno sopra l’altro; o quelli dei vitelli "a carne bianca”, tenuti in box singoli, dove l’animale non può neanche voltarsi. 
La prima caratteristica strutturale dell’allevamento intensivo è dunque questa: enormi quantità di animali allevati in piccoli spazi, perché questo è vantaggioso economicamente. Dopodiché la mortalità viene compensata comunque dalla maggior quantità di animali allevati. 
Oggi un moderno allevamento di suini da ingrasso può contenere circa ventimila capi. Proviamo a immaginare cosa significano ventimila animali in un ambiente estremamente ridotto. 
Questa vicinanza coatta tra l’altro provoca fenomeni di violenza: sono frequentissimi i casi di cannibalismo. Le galline ovaiole, proprio in virtù di una legge che si prefiggeva di aumentare lo spazio, hanno ora a disposizione 450 centimetri cubici, cioè uno spazio grande quanto un foglio di giornale. 
Come si risolve il fenomeno del cannibalismo? Debeccando gli avicoli, cioè tagliando il becco a polli e galline; nel caso dei suini, tagliando loro la coda, in modo tale che non se la strappino, oppure togliendo loro addirittura i canini. Insomma, le soluzioni non sono mai volte ad aumentare lo spazio, la cui mancanza è la causa prima del cannibalismo e delle lotte violente tra gli animali. 
Poi questo spazio ridotto determina un eccesso di vapori tossici. Se uno entra dentro questi allevamenti, la prima sensazione che prova è di stordimento, le mucose lacrimano, si sente pizzicore al naso, perché ci sono deficienza di ossigeno e carichi eccessivi di anidride carbonica e poi di idrogeno solforato e ammoniaca derivanti dalle deiezioni di questi animali. Questi vapori tossici, insieme alla mancanza di ossigeno, determinano negli animali una serie di lesioni a carico dell’apparato respiratorio, del naso e delle mucose corneali, congiuntivali, della mucosa orale. È tale l’eccesso di questi vapori che un’aerazione normale non potrebbe consentire un ricambio di aria tale da soddisfare le esigenze respiratorie degli animali. L’aerazione deve essere forzata, l’aria viene immessa per mezzo di ventole. Se le ventole per un qualche motivo si fermassero, non c’è dubbio che gli animali morirebbero tutti. 
 
Poi ci sono le caratteristiche di costruzione. Gli animali poggiano su delle superfici inadatte, perché per stabulare tanti animali in uno spazio ridotto, uno dei problemi da risolvere è quello dell’allontanamento delle deiezioni. Allora si è fatto in modo che queste defluissero in piani o in fosse sottostanti per poterle poi aspirare o raschiare via. Quindi pavimentazioni a grigliate, fatte a travetti con degli spazi fessurati. Negli avicoli si è risolto il problema per mezzo delle gabbie: la rete favorisce l’eliminazione delle deiezioni. Ma tutto questo causa agli animali delle gravissime lesioni podali: i bovini e i suini perdono spesso gli unghielli, nelle galline capita perfino che le unghie crescano intorno alla rete, per cui restano arpionate senza possibilità di muoversi. 
 
Non solo, gli animali in condizione di sovraffollamento possono più facilmente contagiarsi tra di loro, perché c’è anche sovraffollamento di microbi. La facilità del contagio determina a sua volta una virulenza dei microbi, perché più sono i contagi e più i microbi subiscono una selezione naturale. 
Tutto questo, impossibilità di svolgere ginnastica funzionale, superfici inadatte, vapori tossici, determinano uno stato di stress nella vita dell’animale. E si sa che quando uno è stressato è più facilmente attaccabile dalle malattie perché lo stress agisce sul sistema immunitario determinando appunto immunodeficienza. Gli allevatori devono allora fornire a questi animali un ombrello farmacologico, perché restano facilmente vittime di malattie a carattere epidemico. Ecco, allora, l’uso del farmaco, vera panacea per le malefatte degli allevatori. Il farmaco non più come terapia per animali ammalati, ma come profilassi. Nel mangime o nell’acqua di abbeverata vengono messe dosi di sostanze a prevenzione antibatterica che vanno da sulfamidici ad antibiotici leggeri, ma anche pesanti. In Italia si usano ottocentomila ...[continua]

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