Ahmed Ouamara lavora con l’associazione belga Sos Jeunes da dieci anni, in particolare con il progetto "Service etudes”. Ha una lunga esperienza di impegno nel movimento associativo dei quartieri popolari di Bruxelles.

Da tempo lavori nei quartieri svantaggiati di Bruxelles. Puoi raccontare?
Sono sempre stato legato ai movimenti sociali, soprattutto di sinistra. Sono stato militante del Ptp (Parti du travail de Belgique), ho partecipato al mondo associativo di Anderlecht, con persone che si ispiravano ai movimenti nati negli Stati uniti, ai Black Panther e a Angela Davis; mi sono poi avvicinato ai movimenti sindacali a Bruxelles. 
Oggi il lavoro sociale è anche il mio mestiere. Non lo faccio più solo come militante. All’inizio è stato complicato, mi chiedevo: "Sarò altrettanto efficace? Avere un salario, non fare più le cose solo come volontario non è una forma di tradimento?”. Pensavo che quest’esperienza non sarebbe durata a lungo, perché mi sembrava che il contesto rappresentasse tutto quello che detestavo di questo lavoro: la borghesia sociale, l’avere una bella sede... Fino ad allora avevo conosciuto il lavoro sociale nelle strade, accanto a persone che vivevano in situazioni di forte precarietà e difficoltà, con problemi di violenza, droga, ecc. 
Il mio primo compito all’interno di Sos Jeunes è stata l’accoglienza di breve periodo di giovani fuggiti da casa o in particolari difficoltà, poi, avendo già un’esperienza in questo campo, ho iniziato a occuparmi di problemi scolastici.
Cos’è il progetto Service etudes?
Si tratta di un progetto di lavoro comunitario con un approccio anglosassone (service learning), già adottato in altri paesi, tra cui il Canada, volto all’acquisizione di competenze trasversali e civiche, in cui l’insegnamento avviene attraverso la realizzazione di progetti. 
Già in passato, come volontario, avevo seguito dei progetti nelle scuole. Nel 2004 avevo lavorato a un documentario sulla storia della migrazione marocchina in Belgio. Già all’epoca ci eravamo resi conto delle lacune in francese di questi giovani. Avevo poi realizzato un secondo documentario sulle diseguaglianze sociali nel sistema scolastico belga e soprattutto a Bruxelles. In seguito avevo lavorato anche con Andrea Rea, un sociologo italiano che insegna all’Université libre di Bruxelles. È stato così che mi sono ritrovato a lavorare con Sos Jeunes, i cui membri avevano visto il mio documentario.   
Dal 2008 seguo questo progetto. La differenza, rispetto al passato, è che ora cerchiamo di lavorare vicino alla fonte dei problemi, cioè dentro la scuola, dove i ragazzi trascorrono la metà del loro tempo. Ad Anderlecht e Molenbeek ho imparato che il lavoro di strada è complicato e difficile da organizzare, perché la strada oggi è molto individualizzata, cioè le persone sono in una logica di sopravvivenza individuale, ognuno pensa a se stesso e alle proprie difficoltà. 
Per offrire qualcosa di efficace ai giovani in condizioni svantaggiate bisognava andare in un luogo dove fosse possibile parlare con loro, quindi a scuola. La prima sfida è stata quella di far capire l’utilità dello studio, cioè la necessità di imparare per comprendere. Spesso i ragazzi imparano le cose a memoria senza capirne il senso. Abbiamo lavorato anche sull’importanza di capire la società in cui si vive proprio per poter agire, impegnarsi.
Il problema di molti di questi ragazzi è che si sentono inutili, poco intelligenti. Questo li porta a un’automarginalizzazione. Si tratta di convincerli che invece hanno il potenziale per riuscire. Ottenere dei risultati concreti facendo qualcosa li ha portati a sentirsi valorizzati. Questo è fondamentale per chi considera la scuola solo come un obbligo e gli insegnanti dei nemici. Riconquistare fiducia li ha portati a considerare il professore un alleato, e anche i risultati scolastici sono migliorati. 
In una quarta professionale per servizi sociali, diversi studenti avevano due anni di ritardo perché erano stati bocciati. Poi ci sono le ragazze di origine africana e maghrebina, la cui cultura e tradizione le spinge a pensare che tanto, appena avranno l’età, si sposeranno e quindi non serve a niente continuare gli studi. 
In questo caso, abbiamo provato a spiegare loro che proprio perché sarebbero diventate assistenti sociali o puericultrici, era im ...[continua]

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