Possiamo partire dal titolo del libro, Controstoria della Repubblica, che fa pensare ci sia una storia ufficiale che non è quella giusta...
Premesso che i titoli li si sceglie insieme all’editore per trovare qualcosa che colpisca, nella sostanza delle cose "contro storia” significa semplicemente che la maggior parte delle storie, anche di storici accreditati, narrano di una Repubblica essenzialmente fondata su due pilastri: il mondo cattolico con tutte le sue derivazioni, sia di carattere politico che sociale e culturale, e il mondo comunista, almeno fino alla fine della prima Repubblica. Ora, certamente questa impostazione, se risponde a una realtà storica dell’Italia in cui questi due grossi blocchi hanno avuto un peso decisivo, trascura una terza componente, a cui è dedicato il libro, quella delle forze che potremmo definire democratico-laiche, liberaldemocratiche, socialiste riformiste o libertarie, che pure sono state un elemento importante nello sviluppo della storia repubblicana.
Certo, è vero che queste forze non hanno mai dato vita a un partito, ma a una serie di partiti e partitini molto spesso in contrasto tra loro, ma basta a spiegare il non riconoscimento di un ruolo importante, addirittura fondamentale per il ricongiungimento dell’Italia al mondo democratico occidentale dopo la catastrofe del fascismo? Ecco, il libro tenta di rispondere a queste domande e vuol colmare questa lacuna grave.
Il rapporto privilegiato che i comunisti vogliono avere coi cattolici accompagna tutta la storia della Repubblica...
Non c’è dubbio che la preferenza del Partito comunista italiano di Togliatti verso un’alleanza con il mondo cattolico è stata sempre chiarissima e ha il suo momento di massima espressione pubblica nell’inserimento del Concordato nella Costituzione con l’art.7. Ci si domanda perché il Partito comunista italiano di Togliatti abbia preso questa strada che poi influenzerà tutto il prosieguo della sua storia politica toccando un apice con Berlinguer. Togliatti, nel momento in cui torna in Italia, compie due "svolte” che vanno entrambe nella stessa direzione. La prima è la cosiddetta svolta di Salerno in cui accetta la monarchia. Nel momento della guerra civile, della resistenza, della divisione dell’Italia in due blocchi, Togliatti ritiene che sarebbe sbagliato porre una pregiudiziale alla monarchia. La seconda avviene nel ’47, quando Togliatti abbandona l’idea del partito rivoluzionario formatosi negli anni Venti e Trenta, per far diventare il Pci un partito nazionale, sottolineo nazionale, che si inserisca direttamente nella vita democratica italiana. Di fronte alla prospettiva delle elezioni del ’48, le prime dopo quelle della Costituente, le possibilità per il Partito comunista sono due: se vince, l’Italia si potrebbe avvicinare a un modello tipo paesi dell’est, con il Partito comunista al centro e dei partiti satelliti intorno fra cui un piccolo partito cattolico.
Questa è l’idea del fronte popolare con il Partito socialista. Se non vince le elezioni, si tratterà di inserirsi nella vita parlamentare democratica italiana, come nucleo centrale dell’opposizione. Per fare questo, ha bisogno di una legittimazione come partito nazionale e popolare che non ambisce a rivoluzioni o riforme radicali. E da chi può venire negli anni Cinquanta tale legittimazione? Dal mondo cattolico, perché il mondo cattolico in quel momento è maggioritario, non solo in termini politici, ma anche nella società italiana, che è una società assolutamente arretrata, ancora agricola, ancora molto dipendente dalla Chiesa.
Non dimentichiamo che la maggior parte della classe dirigente democristiana si era formata nell’ambito dell’Azione cattolica, l’unico movimento rimasto in piedi durante il fascismo proprio grazie al Concordato. Quindi votare il Concordato e la sua costituzionalizzazione era la maniera migliore per adire a questa apertura non solo alla Democrazia cristiana ma anche al Vaticano. Teniamo presente che era stato il Vaticano di Pio XII a prospettare, attraverso Dossetti, il rischio ...[continua]
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