Vorremmo parlare dell’evoluzione in Turchia, un paese che lei frequenta da ormai quarant’anni e dove oggi vive.
Sono arrivato in Turchia la prima volta nel 1978 con un gruppo di compagni e compagne dell’Università di Bologna. Avevamo scelto quella destinazione per un motivo molto semplice: era il più vicino dei paesi lontani o il più lontano dei paesi vicini. Io ne rimasi subito affascinato: la Turchia a quel tempo era veramente un mondo completamente "altro”. In seguito ho continuato ad andarci regolarmente per visitare luoghi cristiani o semplicemente per vacanza.
Quindi è un paese che frequento da una quarantina d’anni, di cui ho seguito un’evoluzione segnata da varie fasi che possiamo sintetizzare così: c’è stata la fase dei golpe militari, molto spesso appoggiati dall’estero (dagli Stati Uniti in modo particolare); poi la stagione diciamo del ritorno alla democrazia, ma ancora sotto l’egida di persone messe lì da potenze straniere; e infine l’ultima fase, iniziata quasi vent’anni fa, con l’ascesa di Erdogan e dell’Akp.
Oggi in Europa facilmente si sentono ripetere questi slogan: "Prima c’era una cultura laica adesso c’è una cultura pesantemente influenzata da un punto di vista religioso”, quasi si rimpiangessero i militari al potere.
Si tratta di una deformazione storica, di amnesia. Nel periodo dei golpe militari, c’era una lobby al potere che si occupava pressoché esclusivamente dei propri interessi; e poi il cosiddetto pensiero laico era in realtà un laicismo spinto, estremo, dove anche la libertà religiosa veniva pesantemente condizionata. Nel ritorno al regime parlamentare di nuovo c’erano lobby, spesso fortemente corrotte, che ben poco hanno fatto per lo sviluppo del paese. È importante ricordare con precisione quegli anni perché altrimenti si fa fatica a capire la successiva ascesa di Erdogan e del suo partito. In un primo tempo, Erdogan aveva messo in piedi un partito dichiaratamente islamico, a cui fu impedito di concorrere politicamente; in seguito ha ripresentato il suo progetto sotto un’altra veste, coniugando la tradizione islamica con il liberismo economico, ma la matrice fortemente islamica è sempre rimasta. In Occidente la si minimizzava per interessi di vario tipo.
Da quando l’Akp ha preso in mano il potere, il reddito pro capite dei cittadini turchi si è moltiplicato per quattro; siamo passati da duemilacinquecento a quasi diecimila dollari pro capite; inoltre ci sono state moltissime opere pubbliche: strade, autostrade, ospedali, aeroporti, eccetera. C’è stata anche una liberalizzazione dell’import-export. Un tempo in Turchia era difficile trovare prodotti tecnologici occidentali di ultima generazione, oggi arriva tutto. Parliamo quindi di una crescita spettacolare che ha portato anche a un processo di urbanizzazione estremo. In pochi anni gran parte della popolazione si è spostata da un contesto rurale a uno cittadino, un fenomeno analogo a quello vissuto dall’Italia negli anni Sessanta. Oggi abbiamo città come Istanbul con diciotto milioni di abitanti, Ankara con sette milioni di abitanti, Smirne, cinque milioni, Adana due, eccetera. Quasi la metà della popolazione della Turchia ormai vive in alcune poche città.
Questo quadro di riferimento va tenuto presente per capire l’evoluzione di questi ultimi anni. È infatti innegabile che il regime di Erdogan abbia portato a uno sviluppo molto forte, tumultuoso, con una crescita della borsa di Istanbul ogni anno a doppia cifra. Ma certo non sono mancati e non mancano tanti punti oscuri; ad esempio, non è cambiata di molto la politica governativa verso le minoranze: non soltanto i cristiani o i cattolici latini, ma un po’ tutte le minoranze non hanno trovato un adeguato riconoscimento. Il caso macroscopico è stato, fino ad alcuni anni fa, quello dei curdi, che però rappresentava la punta dell’iceberg di una questione che riguardava varie minoranze anche religiose.
Nell’impero ottomano, attraverso i millet, esisteva un riconoscimento ufficiale di ciascuna di queste minoranze. Si è detto che la politica di Erdogan è neo ottomana, perché l’Islam sunn ...[continua]
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