Albert Camus che riesce a essere letto anche dalla gente semplice in tutte le parti del mondo, ma il cui pensiero continua a essere malvisto dall’accademia e dalla politica; la possibilità per ognuno di fare, di essere libero, ma nella propria misura; un pensiero antitotalitario che costrinse Camus a una solitudine dolorosa; la grande figura della madre, lo zio sordomuto, l’Algeria amatissima e la malattia che lo colpì da ragazzo. Intervista a Catherine Camus.
Per la politica? È molto semplice, Camus non esiste. E con la sinistra è quasi peggio che con la destra. Questo è chiaro e netto. Nel 2013 i francesi, che pure adorano le commemorazioni -sono noiosissime, ma a loro piacciono- non hanno fatto proprio nulla. L’unico è stato Nicolas Sarkozy che voleva mettere papà nel Panthéon, e meno male che mio fratello ha detto di no perché io avevo detto sì. Ma avevo ricevuto tantissime lettere che mi avevano chiesto di dire sì. E si capiva che erano della stessa estrazione sociale di papà, erano dei poveri. Racconto quest’episodio: uscivo dall’Eliseo per andare al Panthéon, e col tassista non so come è venuta fuori la cosa della commemorazione, perché lui mi dice: “Le commemorazioni ci fanno campare alla grande, ci fanno comodo e a loro piacciono”, e io: “Ah, no, non mi parli di commemorazioni, che rottura”. E lui: “Perché, lei è nel settore delle commemorazioni?”, e io: “Dio me ne scampi, non c’entro nulla, ma è il cinquantenario della morte di mio padre, che era una persona nota, e lo vogliono commemorare e questo mi scoccia”. Dice: “Cinquant’anni dalla morte? È morto nel Sessanta?”. E io: “Beh, sì”. “Ma non sarà mica Albert Camus?”. E io: “Eh, sì”. “Signora, lei non può immaginare quanto io sia commosso, non può, perché per me Camus è… lo leggo continuamente, e come parlava di sua madre! Lei non sa quanto sia commosso! E poi voglio dirle una cosa, che suo padre è famoso e importante, perché di famosi ne abbiamo parecchi, ma d’importanti ben pochi”. E va avanti: “Io sono d’origine polacca, mio padre è arrivato a Parigi, ha fatto il carrettiere ed era analfabeta e Camus m’accompagna sempre”. Allora gli ho detto: “Mi è stato appena detto che si vuol mettere Camus al Panthéon, lei che ne pensa?”. Uscendo dall’Eliseo ero sconvolta, avevo preso degli ansiolitici per evitare una colica. Detesto i luoghi di potere, sono atroci, ne trasuda qualcosa di poco pulito. Dunque gli dico questo e lui: “Signora, oh sì, dica di sì, perché per le persone come noi sarebbe una speranza”. Ecco, a causa di quest’uomo -e di altri che mi hanno scritto- ho detto di sì. In seguito gli ho scritto per informarlo che io avevo detto di sì, ma mio fratello di no, e che volevo metterlo al corrente perché l’incontro con lui mi aveva davvero toccato. Un anno dopo mi ha riscritto lui per dirmi che era passato da Lourmarin, che era stato sulla tomba di papà e che era molto felice che fosse rimasto dov’era. Pazzesco, no? Un tassista. “Dica di sì perché per noi sarebbe un simbolo e una speranza”. E questa cosa, di “avere una speranza”, a persone come mia nonna non era capitata tanto spesso.
Insomma, alla fine sono contenta che mio fratello si sia imposto; in cuor mio neanch’io desideravo che andasse a finire là dentro: sono claustrofobica, il Panthéon è spaventoso, è brutto, è tutto sottoterra. Oltretutto quando ci avevano portato Alexandre Dumas, io ero là, in rue Soufflot, con un cartello che diceva: “Alexandre resta con noi”. Sì, non volevo che ce lo rinchiudessero. No, la politica non ama papà. Penso che per la gente di potere, per le istituzioni, sia impossibile amarlo, perché è un libertario, non ama il potere e, dunque, è irrecuperabile.
Sono stata per molto tempo iscritta al Partito socialista, dal “Programma comune” all’arrivo di Mitterrand al potere. Poi c’è stato il congresso di Valence, dove si sono messi a urlare e a dire che bisognava far cadere delle teste, e ho restituito la tessera. Ho pensato: “Si mette male, ecco un altro paranoico”, ed è finita così. Un giorno a un compagno che mi diceva che Rachida Dati, la ragazza che lavorava con Sarkozy, era una traditrice della sua classe, ho detto: “Aspetta un po’, tu puoi dire che non sei d’accordo con quello che fa, questo lo capisco, nemmeno io lo sono, ma non puoi dirmi che tradisce la sua classe. Che volevi, che rimanesse a farsi le canne nei… Ecco, tu mi aiuti a capire perché la sinistra non ama papà: perché è un povero che se l’è cavata e questo vi rovina la merce che avete in magazzino”. Per poco non sveniva: “Non puoi dir questo!”, “Invece sì, penso proprio questo”. In Francia è conosciuto e amato dai lettori, e a volte, certo, anche da persone ben collocate nella gerarchia sociale, ma in generale con le istituzioni, no, non va.
Un signore di Gallimard nel 2011 aveva cominciato ad andare da tutti: Beaubourg, Biblioteca nazionale, Ministero della cultura, chiedendo: “Per il 2013 che si fa?”. Mai avuta una risposta. Me lo dice
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continua]
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