Come sei diventato interprete? Qual è stato il tuo percorso?
Appartengo ormai a una generazione di interpreti che ai miei colleghi più giovani sembra preistorica perché come ogni professione anche questa si è evoluta.
Come sono diventato interprete? Per caso. All’epoca ero un ragazzo di provincia che tutto sommato aveva come centro di interesse la vita politica della sua città, Livorno, una città di lotte. Se vuoi, la mia fortuna è stata di avere un quasi parente emigrato in Svezia, dove ho trascorso delle splendide estati con questi due giovani, lei svedese e lui italiano, che mi hanno fatto conoscere la scena della militanza di sinistra e di estrema sinistra svedese, le comuni, la vita teatrale, ecc.
In quegli anni, al nord, c’erano folte colonie di esuli, tra cui la colonia greca. Era l’epoca della Giunta dei colonnelli. Sono così entrato in contatto con un mondo molto interessante, affascinante che -confesso- mi attraeva più di quello svedese. Infatti lo svedese non l’ho imparato, ma il greco sì!
Così è successo che, già prima di andare al ginnasio, ho cominciato a sentire una grandissima curiosità per la Grecia e, appena caduta la dittatura, sono andato a trovare uno dei ragazzi che avevo conosciuto a Stoccolma.
Nel frattempo avevo cominciato a studiare il greco antico, accompagnandolo con una conoscenza, sia pure molto embrionale e approssimativa, del greco parlato.
Conclusa l’università, avevo voglia di andar via, erano iniziati gli anni del riflusso e così, quando si è presentata la scelta fra una supplenza annuale al mio liceo d’origine a Livorno e un posto in una scuola di lingua italiana per aspiranti studenti greci, sono subito partito per Salonicco! Nel frattempo la Grecia, nell’81, era entrata nell’Unione europea e all’epoca erano disperati perché la lingua di quel paese, diventata lingua ufficiale alla pari di tutte le altre, nella sua forma moderna era pochissimo conosciuta. Grazie ai progressi fatti a Salonicco, ho partecipato a un concorso e sono stato selezionato per fare dei tirocini accelerati propedeutici a diventare interprete a Bruxelles.
In cosa consistevano questi tirocini intensivi?
Erano basati su una specie di fuoco di fila di interpreti già in servizio che venivano a fare dei discorsi: tu prendevi nota e poi ripetevi quello che avevano detto nella tua lingua. Siccome non erano dei didatti, ma erano proprio interpreti momentaneamente sollevati dalle loro incombenze in cabina, erano anche abbastanza scocciati di venire a farci questa esercitazione, almeno una parte di loro, quindi spesso molto bruschi. Insomma, ti mettevano nella situazione in cui o accettavi la sfida e cercavi di migliorarti il più rapidamente possibile, oppure mollavi, perché poi c’era un test ogni mese, in cui potevi essere buttato fuori.
In capo a sei mesi sono stato spedito come pivot unico in riunioni anche di alto livello. Pivot unico è un termine del mestiere di interprete simultaneo: in una riunione a più lingue, la lingua “rara” (in questo caso il greco) viene tradotta verso una lingua compresa da tutti gli altri interpreti (l’italiano), i quali a loro volta traducono nelle rispettive lingue di arrivo. Quindi era la mia traduzione quella da cui dipendevano le traduzioni verso l’inglese, il francese, il tedesco, l’olandese. Una responsabilità che ho affrontato con assoluta incoscienza!
Si tratta di un sistema messo a punto nelle istituzioni europee a mano a mano che il numero delle lingue ufficiali aumentava e quindi non tutte le cabine potevano contenere tutte le combinazioni, pertanto si creava una specie di intreccio di canali, per cui a mia volta io che non so il tedesco per tradurre mi collegavo alla cabina francese.
Questo accade tuttora. Ho così iniziato con un contratto di agente temporaneo alla Commissione europea, parliamo degli anni Ottanta. All’epoca c’erano nove lingue, mi sembra. Ora siamo a ventiquattro!
Dalla cabina di interprete a Bruxelles hai quindi seguito le prime fasi di allargamento dell’Unione europea…
Sì, in qualche modo mi sentivo parte di questo progetto in divenire. Era bello anche far parte di una comunità di giovani interpreti che arrivavano da tanti paesi e che, non essendo allora mol ...[continua]
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