Avevi conosciuto Wojciech Karpinski negli anni Ottanta, puoi parlarci di lui?
La caratteristica principale di Wojciech Karpinski era di essere una persona molto indipendente e molto innamorata della propria libertà.
Era nato nel ‘43. La sua era una famiglia di intellettuali, suo padre era un importante architetto di Varsavia, e quindi, già negli anni Sessanta aveva potuto leggere testi a cui i suoi coetanei non avevano accesso, perché erano libri stampati all’estero. Fin da giovane si era costruito una sorta di percorso intellettuale, ma anche esistenziale, che andasse in parallelo rispetto alla vita di tutti i giorni. Ai tempi dell’università era entrato a far parte dell’opposizione democratica polacca, scrivendo, con vari pseudonimi, sul mensile dell’emigrazione “Kultura”, pubblicato a Parigi, una realtà che è stata molto importante nella sua vita.
Proprio durante questi mesi di lockdown aveva lavorato a un libro, che ora circola in forma digitale, intitolato “Centoventi giorni di Kultura”, una raccolta di testi che riassumono il suo contributo alla rivista, ma soprattutto un omaggio ai suoi maestri.
Karpinski si era formato leggendo scrittori come Witold Gombrowicz, poeti come Czeslaw Milosz, pittori e saggisti come Józef Czapski. Tutte persone che facevano parte, in modo più o meno organico, di questa rivista, che era anche una casa editrice e un luogo in cui si sperimentavano e si discutevano delle idee alternative a quelle che erano le idee ufficiali in Polonia.
Wojciech Karpinski aveva studiato romanistica, quindi conosceva molto bene il francese e appena ne ebbe la possibilità (pur assumendosi dei rischi: vigeva uno stretto controllo da parte della polizia segreta polacca) andò a Parigi per incontrare quelli che considerava dei padri spirituali, a cui rimase legato per tutta la vita.
Un episodio fondamentale nella sua vita è stata la condanna del fratello Jakub, coinvolto nel 1970 in un clamoroso processo farsa ai cosiddetti “scalatori dei monti Tatra”, un gruppo di giovani accusati di simulare delle gite in questi monti al confine tra la Polonia e la Repubblica Ceca per poi riportarsi a casa zaini pieni di libri proibiti che, all’epoca della primavera di Praga erano invece accessibili in Cecoslovacchia.
Questo processo fu un modo per dare una “regolata” a tutto un gruppo di intellettuali di cui il fratello faceva parte. Ovviamente, come succedeva spesso nei paesi dell’Est, questa condanna ebbe delle ripercussioni anche sui familiari: Wojciech fu espulso dall’università e dovette interrompere la carriera accademica.
Quando nel 1980 nacque Solidarnosc, si trasferì infine a Parigi. Questo da parte di alcuni suoi amici gli fu rimproverato, nel senso che in quel momento così vivace, così importante per la Polonia, lui ne aveva, tra virgolette, approfittato per andare altrove. Il fatto è che la sua libertà intellettuale in qualche modo lo portava a vivere appunto altrove. Sempre a Parigi nel 1982 fondò, assieme a Barbara Torunczyk, “Zeszyty Literackie” (Quaderni letterari), dove scrisse in tutti i numeri, mantenendo comunque il suo rapporto con “Kultura”.
Io lo conobbi agli inizi del 1983 a Parigi. Mi fu presentato da comuni amici. Era un tipo piccoletto, abbastanza sorridente rispetto al polacco malinconico tradizionale, con una cultura smisurata e una conoscenza dell’Italia sorprendente.
L’altra cosa che mi colpì è il fatto che, per approvare una cosa che si diceva, muoveva non si sa come le orecchie abbassando il lobo superiore. Trovavo veramente buffo che avesse questa forma anche di giocosità, perché poi era una persona molto seria.
Quando tornai in Italia iniziammo una corrispondenza. Mi chiedeva dei libri, di dargli dei pareri. Devo dire che una delle cose che per le quali gli sono più grato è di avermi fatto conoscere Nicola Chiaromonte, anche se tutto cominciò con un equivoco. Ricordo che un giorno a Parigi mi chiese appunto se avessi letto “Chiaromonte”. Io lì per lì pensai al politico del Partito comunista; rimasi anche sorpreso che avesse questo interesse per Gerardo Chiaromonte: quello che scriveva mi sembrava piuttosto irrilevante per la nostra conservazione. Il fraintendimento andò avanti per un po’, con me che rispondevo: “Mah sì, qualcosa ho letto, su Rinascita”. E lui: “Rinascita? Ma Chiaromont ...[continua]
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