Roselyne Chenu è stata assistente di direzione presso il Congresso per la libertà della Cultura, segretaria generale della Fondation pour une entraide intellectuelle européenne e della Fondation d’Hautvillers pour le dialogue des cultures, capo di dipartimento all’Institut du monde arabe.
Il libro di cui si parla nell’intervista è
En lutte contre les dictatures: le Congrès pour la liberté de la culture, 1950-1978 (Editions du félin, 2018). In uscita prossimamente per le edizioni Una città.

Per quanto tempo ha lavorato al segretariato internazionale per il Congresso per la libertà della cultura e in seguito nell’associazione?
Sono entrata nel 1964-1965. Il Congresso per la libertà della cultura e l’Associazione internazionale per la libertà erano una sola entità, lo stesso organismo. La parola “congresso” fu utilizzata all’inizio per mancanza di tempo e di immaginazione.
Quali funzioni svolgeva?
Sono stata assunta come assistente di Pierre Emmanuel, il direttore letterario del Congresso. Lui si occupava principalmente dell’Europa e dell’Africa del Nord e, quindi, in quanto assistente, il mio compito riguardava i programmi del Congresso, in Spagna, in Portogallo, in Marocco e anche nell’Europa dell’Est.
All’inizio mi sono dovuta informare e ho imparato tantissimo rileggendo tutta la corrispondenza che Pierre Emmanuel aveva avuto in quegli ultimi anni con i diversi paesi. Questo mi ha permesso di conoscere i fatti.
Potrebbe ricordarci in cosa consistevano le missioni del Congresso?
Comincerei dalle ultime missioni del Congresso definite nell’incontro internazionale che ebbe luogo nel 1950 a Berlino. Ovviamente tutto iniziò in modo molto modesto. Personalmente, in quanto assistente di Pierre Emmanuel, ero incaricata del monitoraggio e dello sviluppo dei programmi del Congresso in Europa, ovvero di una parte dei paesi dell’Europa Occidentale sotto dittatura come la Spagna e il Portogallo. Più avanti ci fu la Grecia e poi l’Europa detta dell’Est, ovvero tutta l’Europa dietro la cortina di ferro.
Contrariamente a quanto è stato spesso ripetuto, le attività del Congresso non riguardavano soltanto la minaccia totalitaria che rappresentava l’ideologia comunista, senza dubbio il pericolo maggiore, ma anche il fascismo...
Non spettava a noi definire né la situazione, né i bisogni. Erano gli spagnoli, i portoghesi, i greci sul posto, vittime della dittatura nel loro paese, che, diciamo, elaboravano i programmi spiegando quali fossero le loro necessità. Ci consegnavano i loro progetti per l’anno successivo e noi tentavamo di rispondere il più possibile alle loro richieste per via finanziaria. Questo ovviamente nella misura in cui potevano rientrare nella filosofia e nel budget del Congresso. Lavoravamo in questo modo.
Non c’erano riserve ideologiche…
Esattamente, perché non spettava a noi definire quello di cui avevano bisogno nei vari paesi.
Ha avuto l’occasione di contattare vari intellettuali dell’Est che avevano bisogno d’aiuto, di soccorso e, tra l’altro, ha anche partecipato a delle missioni pericolose in questi paesi.
Sono stata in vari paesi, ma ogni volta con pretesti legati al turismo.
Ad esempio, programmavo i miei viaggi in Europa dell’Est durante le vacanze scolastiche o universitarie, questo perché all’epoca figurava ancora nel mio passaporto la professione di “professore”.
Nessuno si è mai accorto di nulla?
Certamente, ma ne sono venuta a conoscenza soltanto diversi anni più tardi. Come vi dicevo, all’epoca lo facevo durante le vacanze scolastiche. Durante l’ultimo viaggio che feci nel 1980 in Cecoslovacchia, e ovviamente senza che lo sapessi, fui seguita dalla polizia per tutto il mio soggiorno.
Durante i primi viaggi, invece, era relativamente libera?
Ah, sì, ma anche nel corso dell’ultimo viaggio ero libera, incontravo chi volevo, però ero seguita.
Se dovessimo parlare di una missione particolarmente pericolosa, quale le viene in mente?
Non me ne preoccupavo molto; il mio primo pensiero era quello di poter incontrare un certo numero di intellettuali e di raccogliere i loro bisogni. Che si trattasse di Spagna, Portogallo, Grecia o paesi dell’Europa dell’Est, la mia principale preoccupazione era di poter rispondere alle loro richieste.
Siamo stati colpiti dalle pagine che ha dedicato all’Africa e all’Asia; testimoniano l’apertura globale del Congresso, soprattutto durante la fase della decolonizzazione di questi Stati.
In realtà non me ne sono mai occupata personalmente; ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!