Nella situazione in cui si trova attualmente il carcere italiano temi come quello dell’istruzione rischiano di restare ai margini nel discorso pubblico. Prendendo spunto dall’esperienza brasiliana del Reembolso através da leitura, programma che prevede uno scambio fra libri letti e sconto della pena, vorremmo parlare con te delle ambiguità della “cultura che rende liberi”. Qual è la tua opinione al riguardo?
Premetto che gli esperimenti bisogna farli e poi vedere com’è andata, dovrebbero cioè essere giudicati a posteriori, verificando cosa hanno prodotto nei fatti. Mi permetto di fare un’analogia col mondo della tossicodipendenza: personalmente non ho affatto idee chiare né sulla liberalizzazione degli stupefacenti, né sull’uso del metadone o di altre sostanze, ma se dopo cinque o dieci anni che è stato utilizzato un certo metodo per contrastare l’abuso di droghe e recuperare i tossici si scopre che ha funzionato, bene, lo approvo. L’unico modo per misurare l’efficacia di un provvedimento è metterlo alla prova, quindi non credo che si possa bocciare il Reembolso solo perché potrebbe essere utilizzato in modo strumentale, solo per strappare qualche beneficio, altrimenti qualsiasi iniziativa all’interno del carcere potrebbe essere intesa in senso strumentale, anche la scuola, o il teatro. Prendiamo ad esempio la “buona condotta”. Se tu non combini guai, non insulti le guardie, te ne stai buono, allora vuol dire che simuli, che lo fai solo per ottenere uno sconto di pena? Ma anche se fosse così, cosa ci sarebbe di sbagliato? La “buona condotta” è pur sempre uno sforzo di autocontrollo. La civiltà intera si basa su queste convenzioni. Dunque, il Reembolso: non sono affatto sicuro che sia efficace al cento per cento, però come giudicarlo in anticipo? Diamo da leggere i libri e premiamo chi li ha letti, anche fosse solo abbonandogli dieci giorni di galera, meglio di niente. Poi in capo a qualche anno si capirà se ne valeva la pena. Faccio un altro esempio. Io ero ideologicamente, o meglio idiosincraticamente avverso alla cosiddetta “giustizia riparativa”, perché l’idea che la vittima di un reato o i suoi parenti debbano confrontarsi e rinconciliarsi con chi lo ha commesso mi sembrava un po’ viziata da un cattolicesimo facile…
Per l’idea del perdono che ci può essere dietro?
No, per l’assunto che occorra per forza sanare il vulnus, la ferita inferta, stabilendo un contatto tra chi ne è stato vittima e chi ne è stato autore.
Io invece pensavo: il colpevole finisce in galera e si sconta la sua pena, mentre la vittima o chi per lui si tiene il suo dolore e il suo risentimento, e poi ognuno per la sua strada, perché mi sembrava un po’ melensa o perversa questa idea del riavvicinamento tra il criminale e chi il crimine l’ha subìto. Intendiamoci, sul piano privato va benissimo, è una cosa nobile e bella, ma come tramutarla in un protocollo gestito dall’istituzione? Però, a giudicare dagli esperimenti compiuti, pare che questa pratica abbia una sua efficacia, ricucendo almeno in parte il tessuto sociale lacerato dal crimine: se non risolve ogni singolo conflitto, complessivamente serve a ridurre la tensione provocata dal reato stesso.
Allora, se funziona, bene, andiamo avanti, estendiamola il più possibile, questa pratica. Questa è la mia posizione generale. Nel merito della lettura come strumento specifico, come negare che sia uno dei pochi, anzi pochissimi mezzi con cui accedere a una maggiore consapevolezza di sé e del mondo, e dunque provare a fare qualche passo avanti, o almeno di lato, scartando dal cammino segnato della delinquenza o dimostrando che non è l’unica strada percorribile? Del resto il carcere non offre quasi nulla in proposito, nessun percorso di riabilitazione o ripensamento. Certo, dubito che la lettura garantisca direttamente di essere reinseriti nella società, ma sicuramente non è nociva. E che poi qualcuno possa approfittarsene in modo un po’ cinico… be’, questo mi sembra nella natura di ogni provvedimento di attenuazione o di risoluzione. Combattere il luogo comune che la cultura renda le persone più buone secondo me è giusto e necessario nel mondo libero, non nel mondo carcerario. Io la retorica secondo cui chi legge libri è moralmente migliore, o superiore agli altri non la sopporto proprio: se pensiamo solo al Novecento, quanti intellettuali, filos ...[continua]
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