Partiamo dalla tua storia.
Io sono nata affetta da una malattia genetica molto rara e grave, la sindrome di Jarcho-Levin. In realtà la certezza di questa diagnosi l’ho avuta solo recentemente, durante il mio ultimo ricovero che risale ad alcuni mesi fa, perché solo ora ci sono macchinari e test utili per arrivare alla sua formulazione. Era importante averla, volevo sapere che futuro avrei potuto dare a un figlio, anche se per me è sconsigliato averne, e anche se mio fratello poteva essere un portatore sano. Si tratta infatti di una sindrome autosomica recessiva, dunque entrambi i mei genitori sono portatori dei geni malati e tutta la mia famiglia è portatrice sana. Io invece ho manifestato clinicamente la malattia.
Che prognosi ha questa sindrome?
Il rischio di morte per chi ne è affetto è molto alto, si parla del 99%. Infatti quando sono nata i medici hanno detto ai miei genitori che non sarei sopravvissuta; presentavo elisione di un polmone dal cuore e troncamento dell’esofago. Queste menomazioni portano alla deformazione della gabbia toracica e delle vertebre e, di conseguenza, a deficit respiratori e cardiaci. Per fortuna a me sono stati risparmiati quelli neuro motori e cognitivi che pure in alcuni casi possono manifestarsi. È una sindrome molto rara, in Italia dagli anni Novanta se ne è registrato un solo caso, in Toscana: il mio. Non ne sapevano niente neanche in Francia, dove sono stata operata più volte da un chirurgo molto noto per aver ideato un metodo per gli interventi sulle malformazioni vertebrali.
Quando gli è stato sottoposto il mio caso ha riscontrato dalle lastre che la curva della mia colonna vertebrale andava a schiacciare polmoni e cuore, quindi mi hanno sottoposta a molti interventi chirurgici per cercare di migliorare questa curva, anche con l’ausilio di protesi, bustini in gesso e in plastica, così sono arrivata ad avere una curva scoliotica passata dai 70 gradi Cobb ai 35 Cobb attuali per la parte toracica e 47 per quella lombare. Per raggiungere questo risultato sono stati necessari ventiquattro interventi chirurgici e la curva è ancora molto elevata, in altre situazioni sarebbe necessaria un’ulteriore operazione, ma nel mio caso il chirurgo la voleva così per ottenere una sorta di bilanciamento tra le varie parti e per far sì che le spalle fossero abbastanza a livello. Sono operazioni molto rischiose, si può rimanere paralizzati visto che si va a toccare il midollo… Tra l’altro io ho anche una cisti all’interno del midollo che, se scoppiasse, mi porterebbe a uno stato di coma vegetativo. L’ho tenuta sotto controllo per 25 anni, all’inizio pensavano fosse un tumore e per mia fortuna, fino a ora, non sembra che si voglia muovere, vedremo, non posso essere in apprensione anche per qualcosa che forse potrà accadere e forse no.
Ho subìto ventitré interventi a Parigi e uno qui in Italia, perché a causa del lockdown non potevo andare nell’ospedale dove mi hanno sempre operato. Ci sarebbe una nuova operazione, molto complicata e lunga, di quattordici o quindici ore, di cui potrei avere bisogno in futuro. I chirurghi italiani che mi seguono mi hanno detto che potrebbe essere effettuata in collaborazione con i medici francesi e io ne sarei molto felice.
Come vi hanno indirizzato al chirurgo che ti ha operato in Francia?
Quando sono nata, all’ospedale Meyer, i medici hanno detto ai miei genitori di portarmi a casa, ma che sarei morta dopo tre giorni. Dopo tre giorni ero ancora viva e dopo sei mesi continuavo a respirare. Mia madre e mio padre a quel punto si sono chiesti cosa fare e così mio padre con una lastra in mano ha girato tutti gli ospedali d’Italia e a Bari ha incontrato un professore, che tra l’altro è stato uno dei maestri del chirurgo che mi segue ora, che ha consigliato di andare in Francia perché lì operava un chirurgo molto bravo che collaborava anche con l’Italia e che poteva essere interessato al mio caso. Il problema era che questo chirurgo francese era prossimo alla pensione, quindi non prendeva più nuovi pazienti. Però quando ha incontrato mio padre, ha deciso di accettarmi come suo ultimo caso. Così mi hanno portato subito a Parigi e, da allora, ci vado in media otto, nove volte l’anno. Questo mi ha portato ad assentarmi spesso da scuola, ha fatto sì che io non riuscis ...[continua]
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