Perché hai intrapreso questo viaggio intellettuale che ripercorre l’albero genealogico del Timeo, unico dialogo di Platone (in realtà quasi un monologo) conosciuto in Europa per quasi mille anni? In una recensione largamente positiva di Lucetta Scaraffia all’ultimo saggio di Roberto Esposito, sulla lotta di Giacobbe con l’angelo, lei gli rimprovera di non dirci mai perché ha scritto questo libro e in che modo la lotta di Giacobbe lo riguardi. Posso chiedertelo, per il tuo saggio? Qual è la tua “posta in gioco” e insomma il tuo più profondo movente?
L’origine è in parte casuale. Nel 2022 le edizioni Valla, che dirigo, pubblicano una nuova edizione del Timeo, splendidamente curata e tradotta da Federico Petrucci e Franco Ferrari. Mi chiedono di farne una presentazione al Collegio Ghislieri di Pavia. Rileggendo il dialogo platonico mi è venuto subito in mente ciò che Beatrice dice a Dante nel IV del Paradiso; “Quel che Timeo de l’anime argomenta / non è simile a ciò che qui si vede”, e cioè che le anime dei beati non tornano al Cielo come invece pensava Platone.
A meno che Platone non parli per metafore, come la Bibbia. Ma, al di là della sottile questione teologica, ho cominciato ad appassionarmi al tema, ho subito pensato al platonismo di Dante, a Pound che trova nel Fedro platonico un equivalente del Paradiso, e insomma ai tanti fili che collegano la mistica cristiana alla cultura greca. Ho scritto subito una cinquantina di pagine, così, per puro piacere -non devo più vincere cattedre!-, che ho inviato a Lino Pertile e a Pat Boyde, i quali mi hanno incoraggiato molto. Poi una mia allieva, che adesso lavora alla Donzelli, legge queste cinquanta pagine e mi invita a pubblicarle nella loro collana di saggi. Io sono più aristotelico, però Platone mi incanta, vorrei quasi dire che mi prende alla gola. In quel dialogo c’è dentro tutto: Platone crea un mito straordinario, all’inizio quello di Atlantide, molto emozionante -raccontato da Crizia-, e poi svolge la sua narrazione cosmologica, “i discorsi che riguardano l’universo”. L’inizio è giocoso, mozartiano, quasi “Nozze di Figaro”: “Uno due tre, ma dov’è il quarto, mio caro Timeo?”… ossia i tre invitati da Socrate per la discussione, Crizia, Ermocrate e appunto Timeo, che è un fisico pitagorico. Senza il Timeo, senza quella descrizione di come il mondo ha visto la luce ed è stato organizzato, cosa avrebbero potuto scrivere Aristotele, Filone d’Alessandria, Agostino e tutti quelli che cito nel libro fino a Heisenberg e la fisica quantistica? Soprattutto ero affascinato dalla teoria della creazione del cosmo vivente, dalla unione di bellezza e bontà: il dialogo, che somiglia a un poema -e che è stato paragonato al De rerum natura di Lucrezio- racconta le nostre origini e il nostro destino, e lo fa attraverso una lingua filosofica ma anch ...[continua]
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