Ci puoi spiegare innanzitutto di cosa parla il libro?
Il libro parla dell’eccidio di via S. Andrea; degli ebrei pisani dagli anni Trenta al dopoguerra; di Pisa e dell’Italia in quegli stessi anni. Sono stata spinta a ricostruire un pezzo della storia di una piccola comunità ebraica anche da interessi legati alla mia personale storia di famiglia. Ma il mio intento (non so quanto riuscito) non era scrivere un libro sugli ebrei, bensì sugli italiani: ebrei e non ebrei, popolani e borghesi, fascisti e antifascisti, partigiani e collaborazionisti e la vasta zona grigia di chi badò solo a sopravvivere.
Però molti lettori, soprattutto lettori non pisani, si sono interessati prevalentemente al versante ebraico del libro. Cesare Cases, per esempio (a cui il libro è piaciuto poco), ha scritto di averlo letto perché è ebreo. Anche Mieli (che invece mi ha fatto una recensione molto lusinghiera, su La Stampa dell’8 febbraio) ha insistito soprattutto su questo aspetto. Mieli ha messo in luce con forza il fatto che dal mio libro emerge come gli ebrei italiani siano stati fascisti. Cosa vera: prevalentemente lo furono. Ma non vedo perché stupirsene o scandalizzarsene. Erano fascisti esattamente come la maggior parte degli altri borghesi italiani. (Di operai ebrei ce n’era ben pochi; ma per esempio Gino Lascar, che operaio era, era socialista).
Su questo eccidio ho cercato di accertare la verità partendo dai fatti. Il bisogno di verità che deve sorreggere ogni ricerca storica lo provavo, ma ho trovato più dubbi che certezze. Però mi sono imbattuta lo stesso in una verità corposa, quella della reticenza, in un miscuglio di memoria affabulatoria e di oblio. Questi atteggiamenti propongono interrogativi più complessi di quelli connessi alla risoluzione di un ’giallo’.
L’intreccio fra memoria e oblio non riguarda solo il caso Pardo o solo la vicenda degli ebrei pisani; riguarda tutta la vicenda storica italiana negli anni del fascismo e del nazifascismo.
Che l’oblio sia in gran parte prodotto di rimozione è ovvio. Nel libro ho sostenuto che gli ebrei pisani, in gran parte, rimossero la memoria della discriminazione e della persecuzione per timore che essa li connotasse come ’diversi’. Penso che non fosse un timore infondato.
L’appartenenza a un’identità di gruppo minoritaria non cessava di essere percepita come sospetta (nei contesti e dalle posizioni più diverse, ivi compresa gran parte della sinistra italiana). Dall’altra parte, invece, c’era la rimozione dovuta alle passate complicità oppure a omissioni che non potevano invocare come scusante l’ignoranza dei fatti. Pensiamo al decreto Bonomi che non fa una parola sugli ebrei. Non ci hanno pensato! Ecco, quello, davvero, mi pare gravissimo. Avevano da pensare a cose più importanti. E’ incredibile che questa non sia stata sentita come una cosa importante. Questo discorso oggi è diventato di dominio comune e sappiamo che riguarda metà del mondo, non Pisa o l’Italia. Col senno di poi, le omissioni degli Alleati ci sembrano inconcepibili (e anche inspiegabili, a meno di non postulare che la conoscenza di ciò che è troppo estremo venga rimossa nonostante l’informazione).
Ma motivi di rimozione ce n’erano per tutti. Per alcuni era il senso di colpa, per altri semplicemente il desiderio di dimenticare sofferenze passate. Per moltissimi italiani era il rifiuto di un passato di miseria e precarietà che si erano lasciati alle spalle, per la prima volta, nel secondo dopoguerra.
Memoria e oblio funzionano sempre selettivamente e la loro compresenza connota il rapporto delle comunità con il proprio passato problematico, in presenza di traumi e cesure. E quali traumi più grandi della guerra, della guerra civile e della Shoah? E quale cesura più grande della trasformazione che l’Italia ha conosciuto nel dopoguerra?
Veniamo alla figura di Pardo Roques, che era un benefattore, un uomo malato e misterioso, un ebreo osservante ma anche cosmopolita. Puoi raccontarci?
Pardo sosteneva istituzioni culturali, ospedali, scuole, faceva beneficenza spicciola, promozione culturale di giovani poveri c ...[continua]
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