In un articolo apparso su Le Monde lei ha sollevato il problema dell’antiamericanismo come nota comune alle critiche all’intervento Nato contro Milosevic...
Opporsi all’America mi sembra una struttura, quasi un riflesso condizionato del pensiero politico europeo. E’ diventato una sorta di passaggio obbligato. Non c’è più bisogno di cercare prove in anticipo, perché l’invocazione dell’America, la maledizione dell’America è diventata un grande stereotipo nel quale si ritrovano tutte le famiglie politiche europee.
L’America è l’incarnazione del Male. E il Male può assumere diversi aspetti: può essere il capitalismo, il liberalismo, l’imperialismo, il multiculturalismo, il regno degli ebrei o dei neri, l’incrocio fra razze diverse. Insomma, il contenuto non è così importante. Quel che conta è che funziona come una specie di riflesso pavloviano, per cui appena si dice "America" immediatamente un’associazione di idee si mette in moto. E’ un codice per cui tutti si capiscono.
In una recente intervista a Una Città André Glucksmann ha definito l’antiamericanismo come il grado zero del pensiero...
Certo, si tratta del grado zero del pensiero perché rimanda a una visione satanica, regressiva, pre-democratica della politica, per cui dove c’è l’America per forza di cose c’è il Male, l’orrore, il crimine. E’ un ragionare ancor prima del pensiero. E questo è interessante. Non siamo più nell’ambito della politica, ma in un ambito para-religioso, una religione senza Dio, siamo in una mitologia negativa dove l’America raffigura l’abominio, incarnando tutto ciò che si detesta nel mondo. A paragone dei crimini commessi dagli americani, tutti gli altri crimini sono insignificanti. In fondo, si odia l’America non per quello che fa, ma perché semplicemente esiste. L’esistenza stessa dell’America è un crimine, un peccato. In effetti, l’America rappresenta per questo modo di pensare il peccato originale del mondo. A partire da ciò, tutti gli altri errori e crimini sono benigni. Lo vediamo oggi. Una grande campagna si sta sviluppando dopo l’articolo di Régis Debray su Le Monde per dire che non si può parlare di un genocidio in Kosovo. Ed è vero, non è un genocidio, è un crimine contro l’umanità che non ha niente a che vedere con la Shoah. Ma nello stesso tempo tutti questi intellettuali continuano a utilizzare la metafora del nazismo per designare l’America. I bombardieri della Nato sono per questi intellettuali e politici l’equivalente degli aviatori del III Reich. Allora, da un lato predicano la prudenza semantica, ma dall’altro si dilungano a spiegare che Clinton è come Hitler, Blair idem e che tutti i dirigenti della Nato sono la reincarnazione dei peggiori fascisti del nostro secolo.
Ma così si dimentica che è Milosevic ad avere qualche somiglianza con Hitler...
Il regime serbo è una versione, un cocktail degradato, sia dello stalinismo che del nazismo. D’altronde, ad aver fatto questa affermazione è Bogdan Bogdanovic, l’ex-sindaco di Belgrado che è oggi in esilio a Vienna perché dissidente. Secondo lui, Milosevic è un nazista incasinato, perché nei serbi non si ritrova quel lato metodico, freddo, tipico del nazismo tedesco, e al tempo stesso è uno stalinista post-moderno, perché parla anche il linguaggio della democrazia. Anzi, può parlare tutti i linguaggi perché in fondo non crede a nessuno di questi e dunque, sul piano delle idee è elastico. Penso che Milosevic sia veramente un misto, per cui non ha niente a che vedere né con Stalin né con Hitler. E però ha una lontana parentela con l’idea della purezza etnica e con l’utilizzo della menzogna comunista come strumento di propaganda.
La riscoperta delle radici nazionali, culturali in opposizione alla globalizzazione dei mercati, all’omogeneizzazione degli stili di vita costituisce un punto d’incontro fra estrema destra ed estrema sinistra...
In Francia abbiamo i nazional-repubblicani a destra e a sinistra che in nome della difesa delle tradizioni maledicono la cultura americana e il suo aspetto livellatore. Ma credo che anche in America molte persone siano d’accordo nel non considerare la cultura commerciale come l’ultima parola dell’espressione umana. Mi vien voglia di rispondere che l’America di oggi è anche un paese con una grande cultura, che esprime grandi musicisti, grandi scrittori, grandi filosof ...[continua]
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