Gianni Sofri, studioso di storia contemporanea dell’Asia, insegna attualmente Geografia politica ed economica nel corso di laurea di Scienze internazionali e diplomatiche della Facoltà di Scienze politiche di Bologna-Forlì.

L’attuale crisi di Timor Est ha un’origine lontana. Ce ne puoi parlare?
La storia di Timor comincia dalla dominazione coloniale: olandese sulla parte occidentale dell’isola, portoghese su quella orientale. Questa divisione spiega anche i differenti destini delle due regioni, nel senso che Timor Ovest passa poi direttamente all’Indonesia nel momento dell’indipendenza, mentre Timor Est rimane a lungo un possedimento portoghese. I portoghesi infatti si dichiarano disposti ad abbandonarlo solo nel momento della "rivoluzione dei garofani", cioè nel 1974. Ed è a questo punto che entrano in ballo gli indonesiani, usando come pretesto il verificarsi di scontri armati fra due diversi movimenti nazionalisti. E’ bene ricordare che l’intervento indonesiano è visto di buon occhio dai governi occidentali in una congiuntura storica particolare. Dopo la caduta, nella primavera del ’75, di Saigon e Phnom Penh, a causa delle origini marxiste, oltre che cattoliche (da noi qualcuno direbbe catto-comuniste), del Fretilin (il Frente revolutionario de Timor Leste independente), questi governi iniziano a preoccuparsi: per quanto piccolo e poco popolato, Timor Est viene visto come una specie di trampolino per l’ulteriore propagazione del comunismo nell’Asia sudorientale, oltretutto a soli 500 km dall’Australia, che si sente particolarmente minacciata. Succede allora che l’Australia addirittura spinga l’Indonesia a effettuare l’occupazione: il che puntualmente avviene nel dicembre del ’75, pochi giorni dopo la dichiarazione formale dell’indipendenza. Ma c’è un altro episodio molto significativo: il presidente americano Ford e il suo segretario di stato Kissinger sono a Giacarta (ne ripartono la sera), il giorno prima che l’esercito indonesiano invada Timor Est: è impensabile che non fossero messi al corrente dell’operazione. Quindi all’inizio c’è una sorta di benedizione degli occidentali: non solo dell’Australia (la prima a riconoscere il fatto compiuto), ma anche della Gran Bretagna e degli Stati Uniti, in nome dell’anticomunismo. Ecco perché molti dicono che Timor è un episodio che si colloca interamente nella storia della guerra fredda.
Negli anni successivi, Timor Est è stato a lungo dimenticato; e in nome dei buoni rapporti con l’Indonesia si è tollerato il massacro. L’unico paese che ha sempre conservato una solidarietà attiva (nella gente, nei partiti, nel governo) è il Portogallo e, per un po’ di tempo, anche i paesi di lingua portoghese dell’Africa: anche se da un certo punto in poi soltanto l’Angola ha conservato una posizione rigorosamente anti-indonesiana, fino al punto di opporre un veto alla partecipazione di truppe indonesiane, nel 1995, a un’operazione dell’Onu sul suo territorio.
In compenso, i timoresi sono riusciti a usare molto bene i media, godendo di una copertura internazionale mediatica del tutto superiore alle loro forze in varie occasioni, mentre gli indonesiani, al contrario, si segnalavano per la loro insipienza. Per esempio, quando Giovanni Paolo II si recò a Dili, alcuni indipendentisti tentarono di aprire uno striscione davanti a lui. Assai probabilmente, se gliel’avessero lasciato fare sarebbe finito tutto lì; invece i poliziotti balzarono addosso ai manifestanti e si misero a pestarli, sicché poi tutta la stampa internazionale lì convenuta ne parlò. Quindi diciamo che i timoresi sono stati abbastanza bravi a tenere viva l’attenzione sul loro problema.
La repressione indonesiana su Timor Est dunque dura ormai da più di due decenni...
Tra il 1975 e oggi si può dire che non ci siano stati momenti di tregua. Prima c’è stata la distruzione della guerriglia, tanto che oggi il braccio armato del movimento di resistenza è ridotto a pochissime centinaia di persone pressoché disarmate. Va anche detto che, da quando ha preso in mano la direzione del movimento, Xanana Gusmao lo ha portato su posizioni sempre meno radicali e più moderate, e anche sempre meno militari e più politiche.
Comunque gli indonesiani non hanno mai smesso di ricorrere alla repressione armata, anche in una fase come quella degli ultimi dieci anni, in cui hanno cercato di mettere in atto un forte sforzo per lo sviluppo di Timor, da esibire all’opinione internazionale. In effetti, secondo statistiche in ...[continua]

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