Francesco Gesualdi è uno dei fondatori del “Centro nuovo modello di sviluppo”. Tra i testi che ha pubblicato, c’è l’unica guida al consumo consapevole uscita in Italia.

Come nasce l’idea del consumo critico e il progetto che ha portato alla guida per i consumatori?
E’ un discorso piuttosto lungo perché l’idea della Guida al consumo critico nasce dalla Lettera a un consumatore del nord. La Lettera mi pare che sia del ’90, la guida invece è del ’96, quindi sono passati 6 anni nel mezzo.
Fin da quando decidemmo di dar vita a questo centro, che è un’organizzazione popolare formata da famiglie che vivono insieme e non un movimento di consumatori, avevamo ben chiaro in mente che ci voleva un impegno che andasse in due direzioni: da una parte la solidarietà diretta per dare una risposta immediata a chi si trova in difficoltà, dall’altra la capacità di capire quali sono le cause economiche e sociali profonde che generano il disagio, per poi opporvisi attraverso i meccanismi politici classici.
Così abbiamo cominciato a curare questo centro di documentazione con l’obiettivo specifico di individuare i meccanismi che generano impoverimento, sia a livello nazionale che internazionale e nello stesso tempo per capire cosa possiamo fare per opporci a questi meccanismi. Noi tutti avevamo anche una forte ispirazione di carattere internazionalista, un po’ legata alla nostra storia. Io e mia moglie avevamo passato due anni in Bangladesh, gli altri avevano fatto volontariato in altri paesi, per cui ci è venuto spontaneo non creare separazione tra il disagio di casa nostra e l’impoverimento di carattere internazionale.
Ci siamo resi conto che ogni volta che consumiamo un prodotto che viene dal Sud entriamo nella catena, per cui è cominciata questa analisi nel tentativo di capire che tipo di contributo diamo ai forti, agli oppressori. Questo è stato il primo elemento di analisi, che poi ha portato alla stesura della Lettera a un consumatore del nord.
Che cosa sta dietro a questi prodotti che noi consumiamo, che vengono dal Sud del mondo? Bisogna capire che c’è tutta una macchina commerciale messa in piedi essenzialmente per consentire a pochi di arricchirsi alle spalle di molti, tra l’altro con la nostra collaborazione. Di qui il problema di come utilizzare questo sistema alla rovescia, come momento di liberazione dei poveri del Sud nel tentativo di porre un freno a questo processo di impoverimento.
La Lettera a un consumatore del nord finisce con una serie di proposte, tra cui il commercio equo e solidale, all’epoca quasi inesistente in Italia. Ctm mi pare cominciasse allora a fare i primi passi, ma eravamo proprio agli albori; poi tutte le altre forme di opposizione all’operato delle imprese, il boicottaggio e i marchi di garanzia sociale. Insomma, all’epoca non avevamo ancora molto chiara l’idea del consumo critico; la intravedevamo in filigrana quando parlavamo del marchio di garanzia sociale, nella consapevolezza che se ai consumatori si dava la possibilità di capire in quali condizioni era stato ottenuto un prodotto, si dava la possibilità di scegliere.
Come siete passati al consumo critico?
E’ stato un po’ casuale, nel senso che dopo aver scritto La lettera al consumatore del nord, stavamo cercando gruppi che si occupavano di temi analoghi. Da noi quando si parla di partecipazione si pensa sempre al voto, casomai anche allo sciopero, ma direi che non ci appartiene per niente questa cultura del potere come consumatore. Noi poniamo molto l’attenzione sulle imprese, molto più che sui governi, perché siamo convinti che siano il cuore del sistema. Quindi mentre i governi, le stesse istituzioni internazionali sono le strutture politiche che sostengono e che consentono alle imprese si poter raggiungere i loro obiettivi, il cuore del sistema sono veramente le imprese, non soltanto per come è organizzata l’economia, ma proprio per gli interessi specifici che il sistema intero persegue.
A quel punto, eravamo nel ’92, andammo in Inghilterra chiamati da un gruppo vicino al commercio equo e solidale che invitava, noi e altri gruppi europei, per mostrarci come avevano svolto la ricerca sulle imprese, per costruire la loro guida al consumo critico. Si rifacevano a un’esperienza americana che aveva venduto ben un milione di copie. Fu durante questo incontro che mi entusiasmai all’idea di dare al consumatore la possibilità di scegliere i prodotti in base al comportamento dell’impresa. E poi mi solleticava l’idea di ...[continua]

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