A Carlo Sini, filosofo, abbiamo chiesto di disegnare uno scenario possibile per il nostro futuro.

Il crollo del muro di Berlino aveva acceso grandissime speranze. Ora abbiamo passato il terzo anniversario e la disillusione è fortissima...
Certo, sembravano non esserci più ostacoli alla felicità per questi poveretti dell’Est. Ma ebbi subito l’impressione che quell’episodio fosse da leggersi come il primo episodio non-storico, nel senso di non determinato dalle ragioni metafisiche della politica, della vicenda europea. Non era una rivoluzione, né un’azione militare, né il risultato di un accordo tra stati, ma il punto di esplosione di un malcontento diffuso e non più contenibile. Un po’ come è successo con l’esplosione del nostro sistema sociale, politico ed economico, avvenuta non per le vie solite, ma in modi ancora non ben comprensibili, perché è difficile credere a una rivoluzione fatta dai magistrati, visto che i magistrati sono lo Stato. Quell’episodio era veramente l’atto d’inizio di una politica planetaria di tipo tecnologico, già alle porte da molto tempo, ma che trovava nell’omogeneità dei bisogni, dei desideri, dell’immaginario collettivo degli europei e degli americani la sua condizione. In fondo la caduta del muro ha significato certamente la fine di regimi totalitari, vessatori, crudeli, ma soprattutto ha significato l’irrefrenabilità di un adeguamento di tutti i popoli dell’Est al modello evolutivo ed economico dell’Occidente. Vogliono vivere esattamente come noi. Naturalmente loro avevano un’immagine edulcorata del nostro modo di vivere; i tedeschi dell’Est vedevano la TV dell’Ovest e credevano che tutto fosse come nelle pubblicità, che tutti avessero la pelliccia, l’automobile e che questo non comportasse alcun sacrificio. Poi si sono resi conto che questo si paga con frustrazioni, con un’attività quotidiana all’inseguimento disperato del denaro e a questo erano totalmente impreparati. Questo episodio non ha fatto che esportare il modello occidentale a gente impreparata, spesso debole, non educata né razionalmente né strutturalmente a vivere in questo modo, e ha prodotto immediatamente molte più catastrofi che non benefici, al quale seguirà probabilmente un periodo di assestamento. Allo stesso tempo, venendo meno la fortissima competizione fra Est e Ovest che giustificava e rendeva concepibile l’imperialismo russo, sono esplose tutte le contraddizioni etniche, i localismi, gli egoismi, gli antichi odii di razze, non più tenuti insieme dalla percezione di un interesse economico collettivo. D’altronde anche noi viviamo questa fase: nei periodi di crisi economica i particolarismi si esaltano. Quello che accade non può quindi renderci particolarmente felici. Certo, per innumerevoli ragioni non possiamo che essere soddisfatti della caduta del muro, ma si tratta di una scommessa forte per l’Occidente, di un banco di prova, dal momento che non so come si potrà immaginare una civiltà occidentale, da New York fino agli Urali, completamente omogenea. Una società siffatta mi sembra una società mortuaria, fortemente pericolosa, nella quale gli adolescenti moriranno come le mosche, proprio per l’incapacità di fornire qualsiasi modello di senso che non sia quello della produzione e del consumo.
Ma questo modello occidentale può durare o no?
Si può disegnare tanto uno scenario apocalittico, quanto uno meno apocalittico, ma progressivamente rivolto alla stessa tendenza. Può verificarsi una situazione di totale emergenza, come può invece aversi uno slittamento continuo e per molto tempo inarrestabile.
Una delle cose più spesso ribadite dagli “esperti” -anche se poi non si sa fino a che punto è giusto credere agli esperti- è che questo modello di sviluppo è assolutamente incompatibile con le risorse del pianeta. Se non si cambia questo modo di produzione, di consumo, di modo di vivere, se anzi lo si esporta, le risorse della terra giungeranno ad un punto di tracollo irreversibile. Il punto di non ritorno, dicono, sarebbe tra il 2010-2020. Nessuno può dire quanto questa previsione sia realistica, perché non si possono prevedere quanti tipi di correttivi tecnologici interverranno a porre rimedio ai danni, essendoci delle variabili assolutamente incalcolabili. La mia impressione, però, è che al di là dello scontro fra consumo e risorse, della pazzesca maniera in cui si vive -una città come New York consuma come un continente e questo non è concepibile-, ci sia anche un profondo malessere dovuto ...[continua]

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