Moreno. L’idea degli operatori di strada si sta diffondendo in molte metropoli, da New York a Manila, da Rio de Janeiro a Città del Messico ed è un’idea che capovolge la logica classica dei servizi per cui è l’utente che si reca ai servizi. Qui è il servizio che si mette in mezzo all’utenza e ciò cambia il modo di funzionare di tutte le attività: o queste sono partecipate oppure non possono essere e tutta la componente di ricerca, aggiornamento, formazione avviene in corpore vivo. E’ così che nasce l’idea di centri come l’Associazione Quartieri Spagnoli, che per poter operare deve farlo in strada. A partire da quest’esperienza si è poi innestato il progetto più ampio che riguarda il maestro di strada, facendo in modo che questo lavoro, che adesso occupa il pomeriggio, venga svolto tutto il giorno.
Rossi Doria. Qui bisogna sgombrare il terreno da una serie di luoghi comuni, un po’ romantici, che la nostra fantasia può farci pensare su questa figura del maestro di strada e su questo tipo di sperimentazione. La prima cosa da fare è stare coi piedi per terra, perché il percorso elaborato da Cesare, e in parte anche da me, di passare dal volontariato all’istituzionalizzazione di queste figure va realizzato passo dopo passo.
La fase del volontariato è per me importantissima, perché se non si dimostra che una cosa è fattibile, è molto difficile poi fare approvare il tuo progetto dalle controparti istituzionali. Se tu mostri un prodotto finito - adesso, infatti, stiamo girando un video su questi sei mesi di esperienza- e lo presenti al provveditore, o a chicchessia, dicendo: "guarda, si è fatto senza spendere una lira", allora puoi sperare che scendano in campo le "forze dello Stato". Questo è molto importante soprattutto per noi nel Mezzogiorno: non ci vogliono grandi forze per far funzionare meglio le cose e per avere una ricaduta sulle parti deboli della società: bambini, malati, ecc. Questa retorica che ci ha oppresso e di cui sentiamo addosso il peso: "voi avete buttato risorse", ce la dobbiamo assumere in maniera intelligente e dire: "siamo capaci perfettamente di fare un’operazione di questo genere, però non facciamola con grandi paroloni, ma ognuno in quello che sa fare". Sgombriamo quindi il terreno da progetti megalomani: si fa un lavoro volontario ridotto, -qua non ci sono mille ragazzi, ma venti bambini...- si mostra che è possibile, si chiede un distacco, cioé un insegnante cui viene pagato lo stipendio normale per insegnare non in una scuola, ma in strada. Naturalmente deve rispondere, anche qui molto responsabilmente, di quello che fa in termini di orario, di verifica, di protocolli che dimostrino i passi che ha fatto nel bene o nel male e poi si vede se si può generalizzare l’esperienza. Non si va al Ministero, "abbiamo bisogno di quindici maestri di strada", e poi non sappiamo nemmeno come formarli. Si fa esattamente il contrario, questo va sottolineato con molta forza. Ora ci troviamo proprio nella fase di passaggio tra il momento volontario e la richiesta di distacco che abbiamo fatto ufficialmente al Ministero della Pubblica Istruzione.
La seconda cosa da cui sgombrare il terreno è la questione che i bambini stanno in strada: a Manila i bambini stanno in strada veramente, non vanno a scuola, come a Nairobi e in tante altre metropoli. Qui, invece, i bambini vanno a scuola, ma la modalità del loro andare a scuola è particolare. Vanno a scuola alcuni per 2/3 del tempo, altri per 1/3, alcuni ancora di meno; vengono prolungate le normali crisi di rigetto della scuola che sono forti in certi ambienti familiari difficili e a rischio, per cui la bronchite che passa in tre giorni porta a venti giorni di assenza... ma alla fine rientrano a scuola, non è che stanno in mezzo alla strada e li devi andare ad acchiappare. Insomma, c’è un andazzo per cui si va e si viene da scuola e nei bambini più piccoli questo porta ad una bocciatura in prima elementare, perché non hanno ancora imparato i numeri e le letterine - banalizzo, ma non tanto. Questa frequenza irregolare riguarda una fascia della popolazione, ma è l’indizio, -la punta di un iceberg-, di un disagio verso l’apprendere che va al di là di questa fascia. C’è una parola napoletana che vuol dire "scocciarsi", che sta sulla bocca di tutti i bambini: -"perché non fai questo?", "mi sfastidio", - se s ...[continua]
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