C’eravamo visti prima delle elezioni, volevamo sentire le tue valutazioni ora, a un mese e mezzo da un risultato così sconvolgente, anche se prevedibile e, da alcuni, previsto.
Il risultato elettorale credo che oltre a confermare tutte le perplessità su questo nuovismo dilagante, rivelatosi o pura demagogia o puro giustizialismo -e non si è mai visto che il giustizialismo desse risultati positivi a sinistra- ha confermato anche altre due valutazioni: l’incapacità della sinistra di leggere i mutamenti della composizione sociale avvenuti in questa fase di transizione e la possibilità che esplodesse la crisi della Lega dentro la contraddizione degli interessi.
Ragionando oggi che cosa devo dire? Se le elezioni sono andate malissimo per la mia visione del mondo, sono andate benissimo da un altro canto: perché per la prima volta abbiamo una corrispondenza tra paese reale e paese rappresentato. Intendo dire che le elezioni in maniera pesante ci costringono a interrogarci sulla composizione sociale degli italiani che è una composizione un po’ strana. A sud, finito l’intervento straordinario -la logica, cioè, per cui gli interessi si regolavano attraverso il meccanismo della politica- abbiamo avuto uno spaesamento che per un po’ ha retto sulla mobilitazione radicale della società civile producendo fenomeni come la primavera di Palermo, la Rete, ma siccome poi solo di denuncia non si campa, a un certo punto sono ritornati pesantemente in gioco gli interessi. E allora è chiaro che il linguaggio della protesta, del disappunto, a parte la Calabria, è stato in parte canalizzato dalla destra, dalla nuova destra.
Secondo dato: queste elezioni hanno fatto emergere quella che chiamo una composizione del sociale selvaggia -il mio amico De Rita dice che siamo di fronte a una vittoria delle seconde schiere rispetto alle prime- fatta di lavoro autonomo, segnata dalla flessibilità, dalle dinamiche territoriali, fatta di cultura del fai da te, della competizione, del raggiungimento del massimo di opportunità possibili.
E tutto questo fa emergere una grande dinamica di conflitto che non sarà il conflitto nei termini in cui noi lo abbiamo sempre pensato, il conflitto sociale dispiegato, ma quello tra capitalismo di prima schiera, delle grandi famiglie, dell’oligarchia, il capitalismo finanziario, e un capitalismo di seconda schiera, dei piccoli e medi imprenditori. E fra i Cuccia, da una parte, e il piccolo imprenditore veneto e lombardo, gli interessi deboli erano quelli della piccola e media impresa, ma non c’è dubbio che a difenderli non era certamente la sinistra. La sinistra ha proposto invece come alternativa il governo Ciampi che era il massimo dell’oligarchia possibile.
Qui c’è una grande e profonda contraddizione: non si possono vincere le elezioni rappresentando solo ed esclusivamente un comparto oligarchico. Ma non solo, andrei oltre: queste elezioni hanno evidenziato che anche nell’altro campo c’era una sinistra di prima schiera e una di seconda schiera. In embrione tutto quel mondo che sta a sinistra e che si chiama associazionismo, volontariato, movimenti vari, è un mondo di seconda schiera che non è né rappresentato né visibile. Ma, da quel che mi risulta, nelle poche aree dove questi signori hanno avuto la possibilità di candidarsi, sono stati tutti eletti. E basta citare il presidente del Movi nazionale, Lumia, che è stato eletto nientemeno che a Corleone.
Una sinistra dei diritti, legata al territorio che è tutt’altra cosa dalla sinistra degli apparati dei partiti. Anche lì, quindi, una prima e una seconda schiera...
Ci sono questioni come il federalismo che ormai, apparentemente, accomunano tutti...
Credo prioritario svelare tre campi retorici ormai dominanti.
Il primo è appunto la retorica del federalismo. Oggi come oggi nessuna comunicazione politica avviene senza prendere in considerazione la problematica del federalismo. E questo è anche inevitabile se è vero che le due grandi parole chiave sulle quali si sta sviluppando il processo di modernizzazione sono da una parte territorio e dall’altra competizione nel sistema-mondo dell’economia. E bisogna dare atto alla Lega di avere posto questo problema come problema centrale. Ma dentro questo dibattito se vogliamo uscire dal campo retorico, dobbiamo decodificare a mio parere tre modelli: un federalismo ...[continua]
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