Di Piergiorgio Bellocchio è in libreria in questi giorni, con il titolo L’astuzia delle passioni, edizioni Rizzoli, la raccolta degli scritti pubblicati su Quaderni Piacentini, di cui fu fondatore, su Panorama e Illustrazione Italiana. Dall’’85 Piergiorgio Bellocchio pubblica, insieme a Alfonso Berardinelli, la rivista "Diario" e una raccolta di alcuni dei saggi lì pubblicati è uscita da Einaudi col titolo Dalla parte del torto.

Si sta discutendo molto di destra, di fascismo, di pericoli per la democrazia. Tu come vedi la situazione italiana?
Uno degli aspetti più incredibili di questo ultimo anno (il ’94 intendo), e che la dice lunga sulla scarsissima cultura e sensibilità democratica del nostro paese e soprattutto della nostra classe politica, è il fatto non già che Berlusconi abbia vinto le elezioni, ma che abbia potuto fare il presidente del Consiglio. Si lamenta l’assenza di regole scritte, però io mi chiedo se davvero occorreva un preciso articolo della Costituzione per impedire a un padrone di televisioni, anzi al monopolista della televisione privata, di assumere il governo della cosa pubblica. Ora non so se Scalfaro poteva permettersi l’atto di coraggio di negare a Berlusconi l’incarico di formare il governo (si sarebbe urlato al colpo di Stato: lo s’è fatto per molto meno). Di fatto, ahimé, la legittimazione era venuta da Occhetto già alla vigilia del voto nel confronto televisivo con Berlusconi, legittimazione ribadita subito dopo i risultati, quando Occhetto dette per scontato che il governo doveva farlo Berlusconi. Hanno manifestato un soprassalto di sdegno solo qualche vecchio liberale e tra i pochi il povero Segni che, almeno su questo punto, era sempre stato chiaro. Un tale mastodontico conflitto di interessi non poteva impedire, ovviamente, a Berlusconi di vincere le elezioni e di essere il leader del suo partito, ma di assumere l’incarico di governo sì. Naturalmente Berlusconi ci avrebbe messo un uomo di sua totale fiducia, capace di tutelare gli interessi della Fininvest, però è già una cosa diversa. Le lobbies ci sono sempre state dappertutto, però né un Morgan né un Rockfeller né un Vanderbilt sono mai diventati presidenti degli Stati Uniti. Né un Krupp in Germania né un Agnelli in Italia. Il caso di Berlusconi è poi ancora più equivoco, perché la sua fortuna economica e la sua potenza dipendono proprio dallo Stato: Berlusconi, in sostanza, è un “concessionario”.
Se si pensa che viviamo in un paese in cui la fama di “dritto”, l’aver fatto i soldi, tantissimi soldi, non importa come, è considerata una garanzia per la collettività, dobbiamo concludere che siamo arrivati a un punto molto basso. Dal momento che la mafia è l’impresa più prospera del paese, quella con il saldo attivo più alto, perché non farci governare dalla mafia? E probabilmente, di fatto, lo siamo, nonostante che Riina sia in carcere anziché sulla poltrona di Palazzo Chigi. I nostri vecchi sapevano ancora distinguere che fare i soldi per sé è una cosa e governare correttamente è un’altra. Sennò avrebbero scelto di farsi governare dagli Agnelli. Né questi, da parte loro, hanno mai avuto la sfacciataggine di candidarsi in proprio come leader politici. Preferivano usare i servitori.
E non so neanche se abbiamo toccato il fondo, forse il peggio deve ancora venire. Né ci si dovrebbe stupire tanto, questo processo degenerativo è cominciato parecchio tempo fa, e molti dei nostri amici di sinistra non hanno voluto capire che il paese era a destra. Lo strapotere televisivo di Berlusconi sarà anche stato decisivo, ma sta il fatto che la maggioranza del paese teme di aver da perdere da un cambiamento, crede che prima Occhetto e ora D’Alema gli vogliano fregare i soldi, la casa...
D’altra parte, in Italia, il potere è sempre stato in mano alla destra, variamente mascherata. In Inghilterra i laburisti hanno governato a lungo, in Germania i socialdemocratici, per non parlare dei paesi scandinavi. Perfino la Spagna mandò al potere la sinistra nel ’36 (ma la destra non accettò la scelta popolare e scatenò la guerra civile). E non è il caso di ricordare la Francia... Anche se, a onor del vero, va detto che l’esperienza del Fronte Popolare risultò talmente traumatizzante da determinare addirittura la débâcle del ’40. Come ha detto il famoso storico delle “Annales” Marc Bloch nella Strana sconfitta, un esame scritto a caldo delle ragioni del disastro, oltre a cause tecnico-militari (uno stato maggiore di vecchi bacucchi, ...[continua]

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