Altin Musta, 18 anni, è un rifugiato albanese che vive in Italia dall’estate 1994.

Quando eri in Albania eri studente oppure lavoravi? Insomma che vita facevi prima di venire in Italia?
Quando stavo in Albania ero studente, non ho mai lavorato, il mio impegno è stato sempre questo: studiare. Sono sempre andato bene a scuola, ma mi ero stufato di restare in Albania; alla nostra età gli ordini non ti piacciono mica tanto, ti dicono sempre: “fai questo, fai quest’altro”, mentre tu vuoi fare le cose a modo tuo. Così, in verità, non mi trovavo più bene. L’unico posto dove mi trovavo bene era la mia compagnia, i miei amici. Anche in famiglia stavo bene: c’erano i miei genitori, mio padre è un muratore e mia madre un’infermiera, e poi mio fratello che non sta più in Albania. Siamo due fratelli, e adesso stiamo tutti e due fuori. Così a casa sono rimasti solo i miei genitori. Li sento ogni tanto, mi dicono che stanno bene, ma non hanno i figli a casa e hanno voglia di vederli, allora dico a mia madre di non preoccuparsi perché un giorno tornerò. Sono in Italia per mettere da parte qualcosa di utile per continuare a vivere, cioè i soldi, ma non è solo per questo. L’Italia mi è sempre piaciuta, ho studiato l’italiano perché mi pacciono le lingue straniere, ho studiato anche l’inglese, sono capace di parlarlo. Ma non ho studiato italiano e inglese a scuola nelle ore di lezione, c’erano piuttosto dei professori che ci davano lezioni private.
A scuola, invece, ho studiato russo, perché era obbligatorio, ma non mi piaceva proprio per niente. Io frequentavo la scuola generale, il ginnasio; sono arrivato fino alla terza superiore, poi ho smesso perché sono venuto qui. Dovevo fare un altro anno e poi avrei finito ed avrei avuto il diploma. E mi dispiace moltissimo di non aver potuto finire la scuola.
La mia città è Valona, il punto più vicino all’Italia, sono solo 75 miglia marine. E’ una città molto bella e uno dei motivi per cui sono qui e per cui questa zona mi piace è perché assomiglia un po’ alla mia città: c’è il porto, il mare e soprattutto le belle ragazze.
Quando stavo là per me la cosa più bella erano le amicizie. Finita la scuola andavo a casa e dopo mangiato studiavo, e anche se a scuola andavo abbastanza bene devo dire che studiavo poco, questa è la verità. Mia mamma mi diceva: “come fai a prendere questi voti se non studi?”. Dopo aver finito di studiare, per un’ora, un’ora e mezzo andavo a fare allenamento di calcio; ho giocato a calcio per tre anni nella mia città con la squadra under 18, e lì passavo il tempo perché il calcio mi è sempre piaciuto, è un mio hobby, insieme alla musica. Poi tornavo a casa, mi facevo un po’ bello e uscivo fuori con gli amici la sera. C’è una cosa: di solito le mamme là non ti fanno stare fuori fino a mezzanotte, da noi si dice che alle 10 si contano le scarpe, dopodiché si chiude la porta e non entra più nessuno in casa, chi c’è c’è, chi manca sta fuori, per dirti... Io di solito ero sempre puntuale, a parte qualche serata particolare.
Insieme agli amici -eravamo in otto, dieci, un piccolo gruppo- andavo nel nostro bar preferito, ci raccontavamo com’era andata la giornata, scherzavamo, facevamo battute, poi magari qualcuno raccontava com’era andata con la sua ragazza, o con quella che gli piaceva, perché di solito alla nostra età si fanno quei discorsi lì.
Nella mia città, che non è piccola, è la terza dell’Albania, c’erano tre cinema e noi ci andavamo sempre, davano i film americani: ho visto tutto Schwarzenegger, Van Damme, ho visto tutti i film d’azione che mi piacciono, i film di Bruce Lee... Andavamo, però, in uno solo dei tre perché negli altri due davano solo film pornografici che facevano proprio schifo, per parlare senza guanti. A volte andavamo in discoteca: c’erano quattro discoteche abbastanza grandi e belle, ma una in particolare era una cosa straordinaria. Quando l’hanno costruita c’era un albero che aveva una curva, un eucalipto credo, e l’hanno fatto entrare nella discoteca e uscire dall’altra parte del muro, una cosa stupenda, la fine del mondo. Lì ci andavo sempre, d’inverno tutti i weekend, stavo lì fino al mattino e non mi fregava niente di cosa dicessero i miei. A me piaceva star seduto sotto quell’albero, da solo, in pace, vedere i miei amici che si divertivano, perché ho un carattere così, quando vado in discoteca non è che parlo troppo, mi piace stare un po’ in pace in quel mezzo buio a pensare alle mie cose.
Poi facevamo delle ...[continua]

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