Massimo. Com’è oggi il ciclo produttivo della scarpa? Parte da me, anzi prima c’è il modellista che fa il disegno, e lì la maggior parte copia, o dalle riviste o dai negozi. Da quel disegno viene sviluppato il modello; sono modelli di cartone, è cartone duro, tipo plastica e vengono tagliati con una specie di coltellino, noi la chiamiamo “molletta”. Su quei modellini si mettono le pelli degli animali, i mezzi vitelli, i capretti, e si vedono, ci sono le zampe e il collo senza testa, le zampe sono tagliate. Insomma si mettono i modelli e si taglia. Poi viene tolta un po’ di pelle per farla diventare più sottile per poterla piegare, sempre per facilitare l’orlatrice che piega e cuce. Nella mia famiglia è mia madre a fare l’orlatrice, lavora in casa.
Tina. Potremmo avere un’azienda nostra…
Massimo. Dopo l’orlatrice interviene il montatore.
Tina. Mio padre fa il montatore. Praticamente c’è la forma del piede e ci metti attorno la pelle appunto per farle prendere la forma. Poi c’è il macchinista che inizia a chiuderla e lo sfibratore che prepara il fondo per metterci la suola. Dopo, la suola viene data alle apparecchiatrici, come me, che praticamente la rifilano, tolgono la colla, ci mettono il sottopiede. Per stirarla è un po’ come quando stiri le magliette, cioè tu hai la scarpa stropicciata e c’è un ferro caldo, la scarpa è già formata, per cui è un arnese lungo con una spina inserita, e questo calore stende la pelle. Dopodiché si pulisce di nuovo, si lucida, si passa la brillantina. Si aggiusta qualche difetto, perché le scarpe di pelle presentano sempre qualche imperfezione altrimenti non sarebbero di pelle: solo la plastica è perfetta.
Massimo. Comunque è un bel mestiere; se lo fai con un pizzico di passione è un bel mestiere. E poi facciamo parte della moda e se fai una bella scarpa, un bel tacco, uno stivale…
Tina. Io dirigo il reparto assieme al figlio del titolare, per cui controlliamo, prepariamo il lavoro per le altre, aiuto chi ha bisogno, io faccio un po’ il jolly nel reparto. La soddisfazione più bella è quando alla fine viene il titolare, o il figlio, la figlia, aprono la scatola e se sono soddisfatti, ecco, lì c’è anche la tua soddisfazione. Io sono passata da poco a questo ruolo.
Massimo. Ora la situazione è molto migliorata rispetto a 25-30 anni fa. Una volta aspettavano sempre il sabato sera per i pagamenti. Purtroppo hanno aggiustato una cosa e se n’è guastata un’altra, perché la mentalità è sempre quella. Oggi ti pagano, ma innanzitutto non ti pagano come dovrebbero. Questo mestiere non è brutto ma è malpagato, anche se ci fa vivere.
Tina. E’ malpagato perché i titolari non vogliono rispettare il contratto. In genere te lo mettono davanti e ti fanno firmare senza neanche leggerlo. Anche nell’azienda dove lavoro io, all’inizio andava così: andavi a lavorare, loro stabilivano un tot, se ti andava bene, bene, se invece non ti andava bene, se ti volevano tenere ti aggiustavano la giornata, altrimenti ti lasciavano andare. Dopodiché abbiamo messo il sindacato, e le cose sono migliorate.
Qui la situazione più diffusa è che nel contratto ci sono tot soldi e loro non te li danno: con quello che risparmiano ci pagano le tasse, così il resto è tutto guadagno. Ad esempio, dove lavoro io, la paga base è di 2 milioni e 25 mila lire lorde, alla fine, nette, sono circa un milione e seicentomila lire. Allora, io che riesco a farmi rispettare prendo questa paga-base secondo il contratto; altrove però uno che magari ha timore, perché lavoro non ce n’è, accetta di prendere molto meno; è comunque meglio di niente. Conosco ragazze che di un milione e sei, un terzo livello quindi, andavano a prendere giusto le seicento mila lire. E firmavano la busta paga, certo. In passato era sempre così, infatti molti proprietari sono ancora inguaiati con gli operai vecchi. I giovani però vogliono farsi valere… ecco, se noi più giovani litighiamo col titolare magari per un diritto non rispettato, bene, tu che sei anziano e hai tutti i diritti dovresti muoverti assieme a noi. Invece l’anziano ha paura: “E se quello poi mi caccia?”.
Massimo. Però non li possiamo biasimare: purtroppo io posso avere il coraggio e la capacità di impostare un certo tipo di rapporto di lavoro, invece un’altra persona no, per timore o ignoranza… Una cosa la vorrei sapere, però, ...[continua]
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