Negli ultimi 45-50 anni in Europa si è verificata una “rivoluzione silenziosa”, che, come tutte le rivoluzioni silenziose, è passata inosservata. Mi riferisco alla costituzione di minoranze musulmane in Europa occidentale. Basti pensare che in Inghilterra ci sono quasi due milioni di musulmani (tra un milione e seicentomila e un milione e novecentomila), in Francia tra i quattro milioni e mezzo e i cinque milioni, in Germania tre milioni, in Italia circa un milione, in Spagna un milione, in Olanda tra novecentomila e un milione. Dappertutto nei paesi occidentali c’è questa popolazione che è andata costituendosi negli ultimi 30-40 anni, a partire soprattutto dagli anni ’60, per la richiesta pressante di manodopera da parte dei governi. Questo fenomeno, quindi, in origine non è avvenuto contro la volontà dei governi, ma su loro richiesta esplicita, per lo sviluppo industriale dell’Europa. L’Europa però al suo interno è molto diversificata, ed è sempre stato difficile gestire la nuova situazione dal centro. Basti pensare alla Francia, con la sua tradizione laica e repubblicana, alla Germania federalista, all’Inghilterra, in cui l’identità è in realtà frazionata in quattro identità distinte, alle differenze tra nord e sud presenti in Italia. Ci sono specificità anche per quanto riguarda la provenienza di queste minoranze. In Inghilterra e in Francia questa popolazione viene dalle ex-colonie: in Francia soprattutto dall’Algeria e dal Marocco, in Inghilterra dall’India e dal Pakistan. In Germania viene dalla Turchia, per quanto non sia una ex-colonia, con anche una presenza marocchina, per quanto minoritaria.
In Germania, Inghilterra e Francia, questo flusso migratorio comincia negli anni ’60-’70. In Italia e Spagna il fenomeno si manifesta circa vent’anni più tardi. Perciò, mentre in Inghilterra, Francia e Germania siamo già alla terza-quarta generazione, in Italia e Spagna siamo soltanto alla prima-seconda generazione. Italia e Spagna erano infatti paesi di emigrazione, ma a poco a poco, con la creazione del mercato comune, hanno cambiato modello di sviluppo e sono diventati anch’essi paesi di immigrazione.
Il punto essenziale è che la maggior parte dei musulmani arrivati in Europa negli anni ’60 erano di origine popolare: operai, contadini; provenivano dai villaggi. Non era la classe media. E questa è una differenza fondamentale rispetto, ad esempio, alla popolazione emigrata negli Stati Uniti. Negli Stati Uniti adesso ci sono cinque milioni e duecentomila musulmani (di cui un milione e seicentomila sono neri americani convertiti e tre milioni e seicentomila sono musulmani provenienti da altre parti del mondo); in ogni caso si tratta di membri della classe media.
Negli anni ’60 l’Europa era in via d’industrializzazione. Negli anni ’70 e ’80 c’è stata invece una vera e propria rivoluzione tecnologica, che ha richiesto una specializzazione sempre maggiore, per la quale la materia prima fondamentale era la “materia grigia”, il cervello. Non c’era più richiesta di manodopera non specializzata. È accaduto così che la popolazione musulmana di origine popolare presente in Europa non ha potuto, per carenza di istruzione, accedere alle classi medie. Per cui si è consolidato un tasso di disoccupazione specifica molto elevato, che in alcuni casi è tre o quattro volte superiore a quello degli autoctoni. Questa è una differenza radicale rispetto agli Stati Uniti, dove i musulmani della classe media, grazie all’istruzione, hanno creato per le generazioni successive una porta d’accesso verso il progresso e l’avanzamento economico. In Europa nemmeno la terza e la quarta generazione sono riuscite ad accedere alla classe media.
Lo scenario che si presenta oggi in Europa è quello di una popolazione musulmana perlopiù disoccupata, o comunque non inserita nella classe media, che sempre più si rivolge all’islam per trovare una propria identità. Nelle generazioni precedenti, dei genitori o dei nonni, non c’era un’identità musulmana dichiarata: si trattava di operai e impiegati che trovavano un ...[continua]
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