In questa situazione -ove il potere, i poteri, tendono ad essere in nessun luogo e dovunque: non più nello stato centrale, ma nella dimensione europea e globale, nella singola Procura della Repubblica, nel governo delle singole città sino a giungere ai poteri diffusi dei comitati dei cittadini che presidiano e perimetrano la loro dimensione territoriale- l’unica interconnessione vincolante che fa tessuto sembra essere la logica selettiva del raggiungimento del massimo benessere possibile attraverso la competizione nel lavoro, nell’abitare, nel produrre, nel comunicare. Correre per arrivare primo sembra essere l’imperativo categorico. Ma primo dove? Questa è la grande questione.
Più che tifare per i singoli poteri in competizione, più che radicarsi nelle singole dimensioni di territorio per competere ed abbassare la soglia di spaesamento e sradicamento, più che tendere alla ricerca di un ambiente, mi pare che rimanga da affrontare la "questione del mondo", pena condannare il soggetto ad uno spaesamento irreversibile rispetto alle forme di convivenza.
Osservata dal basso questa società sembra essere sempre più caratterizzata da un tentativo frenetico dei soggetti di ambientarsi.
E’ quanto accade nei centri sociali, dove migliaia di giovani selezionati rispetto al lavoro e alla socialità cercano di darsi un ambiente per autoprodurre il bene scarso della società e della convivenza. E’ quanto accade nel lavoro autonomo orientato alla ricerca e alla progettazione, dove intelligenze diffuse, selezionate dal passaggio verso un capitalismo da accumulazione flessibile, cercano di darsi un ambiente attraverso la forma-impresa, l’istituto di ricerca, la casa editrice, la rivista, per ricercare e progettare forme di convivenza altre dal puro codice competitivo. Lo stesso avviene nel comitato di quartiere, nella metropoli, dove la nuova residenzialità urbana, fatta di terziario e servizi, perimetra il suo abitare rispetto ai city users, siano questi i giovani immigrati o gli abitanti delle pieghe della città, i devianti. Nel consorzio export si danno l’ambiente per competere nel mercato globale i lavoratori autonomi dell’Italia del fai-da-te, approfittando delle opportunità dei cambi per esportare. Così come nel fare patto territoriale per lo sviluppo si danno ambiente le rappresentanze degli interessi che, venuta meno la filiera delle appartenenze, scoprono che l’uguaglianza sta all’inizio e non alla fine e danno origine a quelle associazioni imprenditoriali locali che fanno progettazione del proprio territorio per competere in una dimensione di risorse scarse, muovendosi nella logica del marketing territoriale.
Ma la fenomenologia di questo processo potrebbe allungarsi ancora, sino a giungere alla patologia del ghetto, ove ci si dà ambiente attraverso la banda di quartiere che perimetra il territorio, nell’associarsi per etnia dell’immigrato in deficit di risorse rispetto al competere per interessi o nella produzione di identità dei modelli di controllo del territorio dell’economia criminale.
Il deficit di mondo produce il proliferare di modelli ambientali nei comportamenti collettivi. La fine delle utopie fa emergere le eterotopie e alle utopie del mondo senza spazio e piene di fini si sostituiscono le utopie dei luoghi piene di spazio e prive di fini. Per questo occorre oggi osservare i processi di ambientazione della composizione sociale in divenire.
Ma la questione centrale è che se per il ricercatore sociale è abbastanza facile seguire i processi di ambientazione e darne conto, non così semplice è ...[continua]
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