Uno dei buchi neri della società italiana è la sfiducia dei cittadini nella possibilità di un sano e corretto governo della cosa pubblica.
Questa sfiducia discende da una mentalità succube e allo stesso tempo eccitata dai retroscena, dal mistero, dall’intrigo curiale, cortigiano e di setta, dalla voce caduta o sussurrata dall’alto, come una briciola dal tavolo dei potenti, che unisce tutti gli italiani.
Non solo gli italiani, naturalmente, ma gli italiani moderni in una maniera particolare in cui si sono impastati e fusi i rituali e i piaceri sadici e masochistici di inquisizione spagnola e comunista, di ossequio ai Padri e ammirazione per i Grandi Fratelli, e via via, fino a quella passione per lo scandalo, che in fondo in Italia significa essenzialmente disvelazione di un segreto, che i potenti vogliono tenere nascosto.
Dal piacere dello speculare su quel che avviene dietro le quinte, dell’ipotizzare e dell’arguire, del ricostruire e del precipitare nasce il nostro cinismo ma anche, come davanti a uno spettacolo di pupi, una saggia presunzione di limitatezza riferita all’uomo.
Altri popoli europei, dall’alto del loro pragmatismo o idealismo estremo, vedranno nella disposizione dell’italiano un segno di dipendenza e una disponibilità alla servitù, ma non è così necessariamente, perché una certa dose di sfiducia nell’uomo se in eccesso invalida il senso civico, corretta è un buon antidoto agli estremismi puritani.
Se dalla sfiducia, come “complesso” storico, antropologico e culturale, non si guarisce nei tempi brevi, si può invece da subito curare la mente, nella sua abitudine a cibarsi di quel che è oscuro, secreto, sporco.
I medici tibetani prescrivono di andare a guardare dentro la testa dei cittadini e osservare cosa c’è per capire lo stato di salute del loro paese. Nel caso dell’Italia si troverà questo.
Per effetto di due opposte ma convergenti concezioni, cioè sistemi di pensare il mondo, il paradigma del complotto è molto pervasivamente diffuso. “Convergenze parallele”, nel lessico equilibristico dell’Italia del secondo dopoguerra: Internazionale Comunista e Internazionale Opposta, e rispettivi dintorni. Naturalmente i complotti raggiungono il dominio dell’azione ma vivono nelle teste, non solo di chi li ingegna ma di chi li crede.
Un complotto creduto non differisce da un complotto solo pensato o anche attuato. E’ solo questione di tempo. Il complotto è un organismo vivente. Vivente in noi che abitiamo nello spazio e nel tempo che esso investe.
Ora, se l’età della mia generazione, mezzo secolo circa, venisse passata al setaccio dei paradigmi che l’hanno socialmente e politicamente dominata, essa dovrebbe subito esser qualificata come prigioniera del complotto. Per fortuna non è mai proprio come si dice o si deduce.
Tuttavia, in Italia, il crescere e diventar grandi, sarà ricordato per certi versi come l’entrare in un mondo in cui ci si interroga, si disquisisce, si avanzano ipotesi e ci si inchina all’oscurità della politica: alle trame, alle manovre, ai misteri.
Chi ha fatto scoppiare quella bomba. Chi ha abbattuto quell’aereo. Chi ha mandato chi. Chi...
Dobbiamo essere consapevoli che rischiamo di passare le tenebre in legato a chi viene dopo di noi.
Michele Colafato
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