25 settembre 2009. Il paradosso del liberalismo
La città belga di Anversa è un luogo complicato. Oltre agli abitanti autoctoni, ci vivono asiatici, africani, arabi e -nel quartiere dei diamanti- ebrei hassidici. Le relazioni interculturali non sono semplici. Tant’è che all’ultima tornata elettorale un terzo dei voti è andato al Vlaams Belang, un partito fiammingo di estrema destra anti-immigrati. Ad Anversa c’è anche il Royal Atheneum, un collegio storico, che nei suoi giorni migliori ha prodotto liberi pensatori e menti brillanti, e che oggi è al centro di un delicato esperimento multiculturale.
Tutto è cominciato nel 2001, quando è arrivata Karin Heremans come nuova preside a gestire una scuola che conta 45 nazionalità. Dopo solo dieci giorni, c’è stato l’attacco alle due Torri. La signora Heremans non si è persa d’animo e ha cercato di rendere l’istituto un luogo di "pluralismo attivo” con iniziative su Darwin, la sessualità, la religione, la moda, le elezioni. E il velo.
In Belgio, a differenza che in Francia, le scuole sono state lasciate libere di decidere autonomamente come comportarsi con le giovani studentesse velate. Le scuole di Anversa perlopiù hanno bandito il velo. Solo tre hanno scelto l’opzione liberale, tra cui l’Atheneum. Con effetti inattesi: tra il 2006 e il 2008 la proporzione di studenti musulmani è passata dal 50% all’80%.
"All’inizio non l’ho considerato un problema”, ha spiegato Karin, ma quando sono arrivate le famiglie musulmane più conservatrici a iscrivere le figlie, il discorso è cambiato. Nel 2007, quindici ragazze si sono presentate a scuola completamente coperte, salvo il viso. La preside ha allora deciso di affrontarle: "Così vi state stigmatizzando. Con quell’abbigliamento rompete con la società”.
A quel punto la situazione è precipitata: le ragazze hanno restituito al mittente l’accusa. Non solo, altre hanno iniziato a portare il velo solo a scuola, come provocazione. Non si è nemmeno riusciti a organizzare la gita annuale a Parigi perché le ragazze musulmane improvvisamente non potevano più stare fuori la notte, dovevano venire anche i fratelli.
La Heremans si è arresa e -contro tutti i suoi principi- ha bandito il velo. E’ stata molto attaccata, ma ha trovato conforto proprio nelle ragazze musulmane più grandi che l’hanno invece ringraziata, spiegandole che la gente non ha idea delle pressioni cui sono sottoposte nella loro comunità.
Resta che l’esperimento è fallito. Se non altro perché dopo quel provvedimento ben 100 studenti su 580 hanno lasciato la scuola e la tendenza sembra ora quella di aprire scuole confessionali.
La storia dell’Atheneum è l’ultimo esempio di un paradosso. Gli europei, idealmente liberali e tolleranti, come possono proteggere i loro valori, se questo significa tutelare comunità illiberali al proprio interno? In altre parole: bisogna tollerare anche gli intolleranti?
(www.economist.com)

4 ottobre 2009. Visto per la Bosnia
Javier Solanas, Alto Rappresentante per la Politica Estera e la Sicurezza Comune dell’Unione Europea, ha annunciato che a partire dal 2010 i cittadini di Serbia, Montenegro e Macedonia non avranno più bisogno del Visto per viaggiare nei paesi dell’accordo di Schengen. Continueranno ad averne bisogno i cittadini della Bosnia Erzegovina. Per la precisione solo quelli che in questi anni non hanno avuto la possibilità di avere un passaporto croato o serbo.
Gli accordi di Dayton hanno fatto nascere una Bosnia Erzegovina senza bosniaci. Solo Croati, Serbi, Bosgnacchi e "Altri” (!). Ora questa decisione della Ue discrimina definitivamente la popolazione musulmana di Bosnia.
Intanto Belgrado ha emanato una legge in base alla quale tutti i cittadini della ex Jugoslavia possono richiedere il passaporto serbo, "giurando fedeltà alla Serbia”.
(Marzia Bisognin)

7 ottobre 2009. Chi baderà alle badanti?
Nel sito neodemos, Maura Tabacco propone una riflessione sul futuro delle donne, provenienti principalmente dall’Est europeo, che lavorano nel nostro paese come collaboratrici domestiche o assistenti familiari.
"Il lavoro domestico si conferma uno dei settori di maggior impiego degli immigrati. Secondo stime ufficiali, nel 2008 risultavano impiegate nelle famiglie italiane oltre un milione e mezzo di colf e badanti, prevalentemente donne di origine straniera, di cui poco meno della metà risultavano registrate presso l’Inps.
Ai contributi versati a partire dal 1° gennaio 1996, verrà applicato il sistema contributivo per il calcolo e l’erogazione di prestazioni pensionistiche. Nel sistema contributivo, il calcolo della pensione avviene sulla base dei contributi versati e la pensione viene erogata normalmente al compimento del 65° anno di età, o anche prima, ma solamente se l’importo è almeno 1,2 volte quello dell’assegno sociale, se si è compiuto almeno il 60° anno di età e si è raggiunta una contribuzione minima effettiva di 5 anni.
La cosa riguarda anche i lavoratori italiani, ovviamente, ma concentriamoci qui su colf e badanti straniere. Raggiunta l’età pensionabile, cosa succederà a tutte quelle donne straniere che oggi, aiutando le famiglie italiane soprattutto nella cura delle persone non autosufficienti, fanno risparmiare a Stato e Regioni circa 45 miliardi di euro l’anno (tanto verrebbe a costare il servizio se fosse svolto nelle strutture del Sistema Sanitario Nazionale o da personale specialistico dipendente dalle Asl per l’assistenza domiciliare)? La maggior parte di esse, provenienti da paesi non comunitari e in assenza di convenzioni bilaterali, saranno costrette a posticipare l’età della pensione. A causa della irregolarità contributiva molte lavoratrici infatti non potranno arrivare all’importo minimo stabilito per l’erogazione della pensione se non all’età di 65 anni, quando potranno beneficiare, se prive di altri redditi, dell’assegno sociale. Tra l’altro l’erogazione di tale prestazione è concessa solo alle lavoratrici non comunitarie in possesso del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo e residenti legalmente in Italia in maniera continuativa da almeno 10 anni. Alla luce di queste considerazioni sembra doveroso riflettere sulle future condizioni di vita delle colf e badanti straniere nel nostro Paese. Cosa resterà loro dopo aver lavorato molti anni in Italia, svolgendo mansioni non proprio gratificanti, e dopo aver lasciato le proprie famiglie nei paesi di origine, non potendo veder crescere i figli o mantenere un solido rapporto coniugale?”.
(www.neodemos.it)

10 ottobre 2009. Confusione
Carissimi amici,
oggi mentre tornavo a casa dal lavoro mi venivano incontro centinaia di militanti della Fiom, tornavano dalla manifestazione. Mi ha colpito che decine e decine calcassero sulla testa un bel cappellino rosso con su scritto Fiom e in mano avessero la bandiera dell’Italia dei Valori.
C’è confusione sotto il cielo?
Vostro, Luciano

15 ottobre 2009. Il crollo dei miti
Una parte dei forcaioli considera la pena di morte un deterrente. Gli altri sono invece d’accordo con noi abolizionisti. Anch’essi pensano che il patibolo non scoraggi nessuno, ma sono convinti che l’uccisione a sangue freddo di un essere umano, purché condita da formalismi giudiziari, sia un fatto di alta moralità.
Comunque la teoria della deterrenza della pena capitale è molto apprezzata perché fornisce una giustificazione razionale a quella che è una pura e semplice vendetta e i forcaioli non accettano che essa sia contraddetta dai fatti e cercano di ignorarli. Ma i fatti hanno la testa dura.
In America il 1999 è stato l’anno del trionfo forcaiolo: il massimo di condanne a morte e di esecuzioni è coinciso con il minimo di assassini. Nel 1999 abbiamo visto il record delle esecuzioni (98) e delle condanne (circa 300) mentre il tasso di omicidio scendeva al 5,7 per centomila che, pur essendo quasi sei volte il nostro, è la metà di quello americano di vent’anni fa.
Poi però, negli anni successivi, abbiamo assistito non solo al vertiginoso calo del numero delle condanne a morte e delle esecuzioni (sospese fra il 25 settembre 2007 e il 6 maggio 2008), ma anche alla stupefacente immobilità del tasso di omicidio che, alla faccia della deterrenza, è rimasto incredibilmente stabile. Le condanne a morte sono passate da 300 l’anno a poco più di cento, mentre le esecuzioni, dopo il picco di 98, sono scese a 53 del 2006, 42 nel 2007, 37 nel 2008 (complice la moratoria dovuta alla sentenza Baze) e a 39 quest’anno. Allo stesso tempo il tasso di omicidio è rimasto inchiodato fra il 5,5 e il 5,7. Quindi, o gli americani non sanno che ora è ancor più difficile e raro essere condannati a morte e uccisi, oppure i forcaioli raccontano balle.
Oggi i dati appena forniti dall’Fbi ci mostrano come il tasso di omicidio sia sceso ancora (5,4 nel 2008) contraddicendo così anche un’altra ben radicata tradizione di pensiero. Quella secondo cui, durante i periodi di crisi economica, c’è da aspettarsi un aumento degli omicidi.
Non abbiamo proprio più certezze.
(Claudio Giusti giusticlaudio@aliceposta.it)

17 ottobre 2009. Trade Unions inglesi boicottano Israele
Con una decisione storica, i sindacati britannici hanno votato l’impegno a costruire un movimento di massa per il boicottaggio, il disinvestimento e sanzioni verso Israele e per una soluzione negoziata basata sulla giustizia per i Palestinesi.
La mozione è passata al Congresso Annuale 2009 del Tuc (Trade Unions Council) a Liverpool il 17 settembre, che riunisce i sindacati rappresentanti di 6 milioni e mezzo di lavoratori del Regno Unito.
Hugh Lanning, presidente della Palestine Solidarity Campaign, ha detto: "Questa mozione è il culmine di un’ondata di mozioni passate nelle conferenze sindacali quest’anno, a seguito dell’indignazione per la brutale guerra di Israele contro Gaza, e riflette la massiccia crescita del sostegno ai diritti palestinesi. Lavoreremo con i sindacati per sviluppare una campagna di massa per il boicottaggio dei prodotti israeliani, specialmente i prodotti agricoli provenienti dalle colonie illegali israeliane nella West Bank palestinese”.
La mozione invita inoltre il Tuc General Council a premere sul governo inglese per la fine di ogni commercio di armi con Israele e per sostenere le iniziative per la sospensione dell’accordo commerciale fra Israele e l’Unione Europea. I sindacati sono anche incoraggiati a disinvestire dalle aziende che traggono profitto dalla quarantennale occupazione illegale israeliana di Gaza e della West Bank.
La mozione è stata presentata dal sindacato dei Vigili del Fuoco. I più grandi sindacati di categoria inglesi, compresi Unite (pubblico impiego) e Unison (sanità), hanno votato a favore della mozione.
La mozione approvata condanna anche le dichiarazioni del sindacato israeliano Histadrut a sostegno della guerra di Israele contro Gaza, che ha ucciso 1450 Palestinesi in tre settimane, e invita a riconsiderare le relazioni del Tuc con l’Histadrut.
I sindacati inglesi hanno raggiunto quelli del Sud Africa e dell’Irlanda nell’impegno per una campagna di boicottaggio di massa per costringere Israele a rispettare il diritto internazionale e per fare pressione sullo Stato ebraico affinché adempia alle Risoluzioni dell’Onu sul diritto alla giustizia ed all’uguaglianza per il popolo palestinese.
(www.boicottaisraele.it)

17 ottobre 2009. Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Confesso che la mia fiducia nella correttezza dei componenti la Corte Costituzionale è di molto diminuita da quando qualche anno fa si è scoperto che gli stessi eleggevano a Presidente il più anziano in carica fra loro, per poter godere tutti, a turno, della pensione da Presidente.
Ma la decisione della Corte sul lodo Alfano, nonostante che consideri discutibile lo stesso lodo e non ritenga Berlusconi il miglior governante degli ultimi centocinquant’anni, mi ha lasciato semplicemente stupefatto.
Non tanto perché, come molti commentatori hanno già rilevato, la CC si è appellata all’art. 138 ovvero alla necessità di una legge costituzionale con procedura rafforzata per questo genere di previsioni legislative, ma soprattutto per il richiamo all’art. 3, quello relativo all’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
E mi spiego: quando la nostra costituzione è stata promulgata il 27 dicembre 1947 conteneva sì l’art. 3 che garantiva fra l’altro l’uguaglianza dei cittadini, ma altresì l’art. 68 (proprio quello, modificato nell’11^ legislatura, sulla immunità parlamentare) che impediva all’autorità giudiziaria di sottoporre a procedimento penale, di arrestare o di privare della libertà personale ognuno dei 950 parlamentari, senza l’autorizzazione del Parlamento.
Una norma vergognosa che aveva bloccato migliaia di processi, anche di carattere civile, con gravi danni per le controparti ricorrenti. Ma evidentemente una norma compatibile con lo spirito dell’art 3, almeno secondo i padri costituenti.
Personalmente ho votato nel 1993 per ben due volte alla Camera per togliere l’immunità parlamentare nei termini così ampi allora vigenti.
Non sono perciò nostalgico di quella normativa e di quella prassi ingiusta, anche se si è sempre detto, nei vari commenti a freddo, che, comunque, almeno le massime autorità dello Stato dovevano essere protette dal possibile arbitrio di un magistrato incompetente, asservito alla politica o in malafede.
Il nostro infatti era già allora un Paese a rischio, con ben cinque ex Presidenti del Consiglio indagati e sotto processo. E anche oggi il nostro è un paese dove indagare su un ministro, meglio se Guardasigilli, è sempre un buon titolo per fare carriere politica.
Quindi, anche se con dispiacere, devo ammettere che quando ho visto Berlusconi imbufalito l’altra sera, non me la sono sentita di criticarlo.
Mi pare che oramai le due posizioni che si confrontano più spesso sono quella che attribuisce a Berlusconi ogni delitto e quella che attribuisce a molti magistrati una volontà persecutoria nei suoi confronti.
Le due tesi si equivalgono quanto a credibilità, ma sono obiettivamente di portata diversa.
Fra l’ingegnere unabomber indagato e il tecnico investigativo che manomette le prove per incastrarlo c’è una diversità di gravità: il secondo agisce per conto della legge e dello Stato!
Fra gli avvocati che inventano sotterfugi per rinviare la condanna del loro assistito e i magistrati che occultano le prove a favore per non avvantaggiare la parte avversa, c’è una bella differenza! Il pm deve ricercare la giustizia ed è pagato dalla collettività solo per operare conformemente alla Legge!
Fra il ladruncolo che ruba e l’agente che lo picchia per farlo confessare c’è differenza perché il secondo non lavora per sé!
Fra Berlusconi che si fa i Lodi Alfano e la Corte che fa politica c’è differenza perché la Corte non è un organo di parte come il Capo del Governo.
E per finire devo dire che l’ultima (per il momento) battuta di Berlusconi mi ha gelato! Lui è l’unico esponente nazionale votato dal popolo. I parlamentari no, come si è detto mille volte perché eletti in virtù di liste bloccate; i Presidenti di Camera e Senato, il Capo dello Stato, la Corte Costituzionale no perché votati da consessi a loro volta eletti dal popolo; i Ministri e i sottosegretari meno ancora perché scelti da Berlusconi e fatti giurare da Napoletano!
Quella di Berlusconi è una battuta politicamente scorretta, sgradevole fin che si vuole, ma che dovrebbe farci meditare!
Francesco Giuliari

18 ottobre 2009. Lavori
Daniel Seddiqui, 27 anni, giovane laureato della University of Southern California, completati gli studi, si era messo come tutti a cercare lavoro. L’inizio non era stato incoraggiante, così dopo una quarantina di colloqui conclusisi senza costrutto e un debito di oltre centomila dollari contratto per studiare, aveva deciso di accettare qualunque lavoro in qualsiasi posto. Ma anche questo non era stato risolutivo, perché il primo lavoro -tutor alle elementari- gli aveva fatto decisamente capire che non era tagliato per quell’impiego. La svolta è arrivata quando ha trovato una sorta di elenco telefonico con i recapiti di tutti gli allenatori dei vari sport di tutti i college. Ha spedito 18.000 email chiedendo una chance. Ha ricevuto 250 risposte. La più interessante è arrivata dalla Northwestern University. Così è partito, scoprendo che il fatto di arrivare in una città, Chicago, dove non conosceva un’anima, non solo non gli dispiaceva, ma era in qualche modo entusiasmante.
Di qui l’idea di lanciarsi in un’impresa del tutto originale e straordinaria: trasformare il fatto di non trovare un lavoro stabile in un lavoro. E’ così partita la sfida "50 lavori in 50 stati in 50 settimane”.
Daniel ci ha costruito sopra anche un sito che ha aggiornato quasi quotidianamente e che ha riscosso molta attenzione. Quest’anno, tra i vari lavori, Daniel ha fatto l’addetto al customer service, l’insegnante di calcio, l’agronomo, il venditore di arachidi, il manutentore di parchi, l’allenatore di football per una scuola superiore, il meccanico, l’addetto alla biglietteria ferroviaria, l’organizzatore di matrimoni, il cartografo, il portamazze in un campo da golf, il commentatore di rodeo, il modello, eccetera.
Il suo viaggio, iniziato a settembre 2008, si è concluso in queste settimane.
(www.livingthemap.com)

18 ottobre 2009. Perdere la pace
"L’organizzazione delle forze americane in Iraq può aver compromesso l’obiettivo della vittoria, con le sue grandi basi che necessitavano di un ingente sistema di supporto... In particolare, rifornire queste grandi basi con tutto il necessario, dal carburante al gelato, richiedeva un flusso costante di convogli. Ogni giorno approssimativamente 800 camion si dirigevano verso nord dal Kuwait […] questi convogli rappresentavano la causa principale degli attriti con gli iracheni quando attraversavano l’Iraq. […] I soldati di un’altra unità spararono alle macchine che passavano senza aver ricevuto alcuna provocazione [...]. Ma non tutti i camion erano guidati dal personale militare americano e nemmeno da cittadini americani. Molti avevano a bordo indiani o altri "cittadini del Terzo Mondo”, i quali non avevano alcun interesse specifico ad aiutare la causa americana. Queste persone volevano semplicemente sopravvivere un anno e portarsi a casa la loro paga per avviare un’attività o costruirsi una casa. Nel 2003, in Iraq circolava la voce che alcuni di essi avessero superato i limiti e portassero armi con cui sparavano a qualunque iracheno che sembrasse avvicinarsi troppo a loro sulla strada”.
(Tratto da Il Grande fiasco di Thomas E. Ricks, Longanesi editore)

19 ottobre 2009. Scuse
Alan Turing è l’uomo che ha decifrato i codici segreti nazisti, cambiando le sorti della Seconda Guerra Mondiale, e che nel contempo ha gettato le basi dell’informatica moderna.
E’ sua la "macchina di Turing”: un concetto astratto che dimostrò nel 1936 che una macchina semplice era in grado di effettuare qualunque calcolo matematico, anche il più complesso, purché rappresentabile come procedura (algoritmo) e che quindi si poteva immaginare un "calcolatore” artificiale programmabile. In sostanza, non importa quale computer, telefonino o altro apparecchio elettronico stiate usando: sotto sotto, se contiene un sistema operativo o un programma, state usando una macchina di Turing.
E’ suo il test di Turing: un metodo per determinare se una macchina è intelligente o no, ossia se "pensa”. Nel 1950 il suo articolo intitolato "Computing Machinery and Intelligence” smontò tutti i preconcetti dell’epoca e dimostrò che era concepibile che un giorno si potesse arrivare a un’intelligenza artificiale indistinguibile da quella umana, liquidando il mito dell’unicità e della superiorità dell’intelletto umano.
Il test di Turing è un esperimento nel quale un essere umano deve decidere se le risposte che gli arrivano tramite telescrivente sono prodotte da un altro essere umano o da una macchina: se non azzecca, la macchina è da considerare a tutti gli effetti intelligente. Finora nessuna macchina ha superato il test, ma gli esperimenti proseguono tramite iniziative come il Premio Loebner.
E’ sua gran parte del lavoro top secret di crittanalisi che permise ai britannici di decifrare i codici cifrati militari tedeschi, quelli basati su macchine come Enigma. Insieme al matematico Gordo Weichman, Turing progettò un dispositivo elettromeccanico, chiamato in inglese "bombe”, che automatizzava i tentativi di decifrazione e fu fondamentale nel consentire la lettura in tempo quasi reale dei messaggi segreti del nemico.
Questa conoscenza delle comunicazioni naziste permise di alterare drasticamente il corso della Seconda Guerra Mondiale, salvando un numero incalcolabile di vite. La natura del suo lavoro militare fu così segreta che l’alta onorificenza che gli fu conferita nel 1945, l’Order of the British Empire, aveva la laconica motivazione "per servizi resi al Foreign Office”.
Nel 1952, mentre stava lavorando allo sviluppo dei primi computer moderni, fu processato per il reato di omosessualità, o gross indecency (oscena indecenza) nell’eufemistico gergo legalese dell’epoca, esattamente come era successo a Oscar Wilde più di cinquant’anni prima.
A Turing fu offerta la scelta fra il carcere e la "cura” tramite castrazione chimica. Scelse la seconda opzione e fu sottoposto a iniezioni di estrogeni talmente forti da fargli crescere il seno. La condanna portò alla revoca di tutti i suoi privilegi di sicurezza, rendendogli impossibile lavorare significativamente nel campo in cui eccelleva. Nel 1954 fu trovato morto, avvelenato dal cianuro probabilmente contenuto in una mela morsicata trovata accanto al suo letto. Alan Turing aveva solo 41 anni.
Con 57 anni di ritardo, il governo del Regno Unito ha chiesto ufficialmente scusa per il trattamento che gli inflisse nel 1952. Nel sito del primo ministro Gordon Brown si può così leggere: "Per quelli fra noi che sono nati dopo il 1945, in un’Europa unita, democratica e in pace, è difficile immaginare che il nostro continente fu un tempo teatro del momento più buio dell’umanità. E’ difficile credere che in tempi alla portata della memoria di chi è ancora vivo oggi, la gente potesse essere così consumata dall’odio -dall’antisemitismo, dall’omofobia, dalla xenofobia e da altri pregiudizi assassini- da far sì che le camere a gas e i crematori diventassero parte del paesaggio europeo tanto quanto le gallerie d’arte e le università e le sale da concerto che avevano contraddistinto la civiltà europea per secoli”.
Per poi concludere: "Così, per conto del governo britannico, e di tutti coloro che vivono liberi grazie al lavoro di Alan, sono orgoglioso di dire: ci dispiace, avresti meritato di meglio”.
(http://attivissimo.blogspot.com)

20 ottobre 2009. L’indice di felicità
Il Pil, il prodotto interno lordo, è sotto attacco in tutto l’Occidente. L’indice del benessere di un Paese non si misura più in termini di auto, frigo e tv posseduti dai suoi cittadini. Oltre che di consumi, la qualità della vita è fatta di beni immateriali: di aria, di acqua, di verde. E di tante altre cose che ci rendano meno stressanti la vita e il lavoro. Lo sostengono da anni i no-global, ma l’hanno detto anche Joseph Stiglitz e Amartya Sen a Nicolas Sarkozy. Il presidente francese aveva messo infatti i due Premi Nobel a capo di una commissione che escogitasse nuovi indicatori per misurare le performance economiche e il progresso sociale. Il 13 settembre i due saggi hanno emesso il verdetto: oltre alla ricchezza materiale, bisogna tener conto di indicatori quali l’aspettativa di vita, l’istruzione, la soddisfazione ricavata dal proprio lavoro, la possibilità di poter esprimere liberamente il proprio pensiero, la coesione sociale, eccetera. Ma tutto questo è niente se l’involucro, cioè la natura in cui i rapporti umani sono confezionati, non viene rispettata.
Da qualche decennio, perlomeno dai tempi dei pionieri hippies, i più fortunati della nostra società emigrano verso i Paesi dove si trovano i giacimenti di questi beni sempre più rari e perciò preziosi. Verso le montagne dell’aria sottile. Verso le pendici dell’Himalaya, Nepal e dintorni. Esportando ansie e cattive abitudini che si sono radicate e hanno lasciato una scia di pattume imbarazzante: dalle bombole per l’ossigeno abbandonate dagli scalatori sui vari Ottomila ai miasmi dell’ormai infrequentabile Katmandu. Sopravvivevano fino a ieri miracolose oasi di pace, tranquillità e candore, fortezze della solitudine e Shangri La a buon mercato da coltivare come sogni o da frequentare di tanto in tanto zaino e gambe in spalla.
Fino a ieri. Perché è di oggi la notizia, arrivata tramite il quotidiano inglese The Independent, che non c’è più pace tra quelle nevi quasi perenni. Al Pronto soccorso di Thimphu, capitale del piccolo regno del Bhutan, l’8 settembre sono state ricoverate ben sei persone che avevano tentato il suicidio. Un’enormità per una popolazione complessiva inferiore ai 700 mila abitanti. Il Bhutan tra l’altro è famoso perché il re di quel paese ha inventato, opposto al Pil, il cosiddetto Fil, Felicità Interna Lorda, ossia il grado di benessere avvertito dagli abitanti del suo piccolo regno, senza tener conto dei soliti parametri occidentali.
All’improvviso, al mondo intero, il regno buddista appare però meno roseo di quel che si credeva. E dire che anche sul piano della libertà e dei diritti sono stati fatti passi da yeti negli ultimi anni. Nel marzo dello scorso anno, per esempio, il Bhutan si è lasciato alle spalle un secolo di monarchia assoluta per abbracciare la democrazia parlamentare. Una decisione importante per un Paese che aveva sempre rifiutato i costumi occidentali affermando che avrebbero distrutto la cultura e le tradizioni locali. Infatti, il premier Jigme Thinley, che pure è stato eletto a suffragio universale, ha colto la palla al balzo per indicare come causa dei suicidi l’ondata di modernizzazione che sta erodendo i legami familiari e comunitari della società bhutanese.
Nel 1999, l’arrivo della televisione in questo piccolo angolo remoto dell’Himalaya ha innescato una serie di smottamenti, spesso traumatici, verso le usanze occidentali, dalla rapida urbanizzazione alla disoccupazione, fino al consumo sempre più accelerato di droga. Un malessere che ha nel picco dei suicidi il suo ultimo campanello d’allarme. I ricercatori del Centro studi del Bhutan con sede a Thimphu sono rimasti sconcertati nel constatare che il 5% delle persone da loro interpellate aveva pensato di suicidarsi e che l’1,4% ci ha provato. Per altri esperti, come Michael Rutland, presidente della Società del Bhutan in Gran Bretagna, la ragione di questo disagio è da ricercarsi nell’esodo dalle campagne. Mentre per lo psichiatra D. K. Nirola, in servizio all’ospedale di Thimbu, la spiegazione è un’altra: "Alla base di tutto c’è la spinta al guadagno, la gente vuole spendere e consumare sempre di più”.
(www.navecorsara.it)

21 ottobre 2009. Fame
Il numero degli affamati nel 2009 è arrivato a quota 1,02 miliardi, il livello più alto dal 1970. Un sesto dell’umanità. Possiamo già dire che l’obiettivo assunto con la Dichiarazione Onu del Millennio di dimezzare entro il 2015 la fame nel mondo è fallito.
Secondo il rapporto, la quasi totalità di queste persone vive nei Paesi in via di sviluppo. In Asia e nel Pacifico si stima siano 642 milioni; nell’Africa sub-sahariana 265 milioni; in America Latina e Caraibi 53 milioni; nel Vicino Oriente e Nord Africa 42 milioni. Nei Paesi sviluppati -dove il 30% del cibo acquistato viene sprecato- la quota delle persone denutrite ha raggiunto i 15 milioni di persone.

21 ottobre 2009. Il ritorno di Polaroid
La Polaroid tornerà a produrre macchine e pellicole istantanee. Dietro il "miracolo” c’è soprattutto The Impossible Project, un gruppo di ricercatori e operai, guidato dall’artista e businessman austriaco Florian Kaps, che a ottobre dell’anno scorso ha raccolto 2,6 milioni di dollari e preso in affitto da Polaroid il vecchio impianto olandese di Enschede.
Grazie a un team di ex ingegneri e impiegati della fabbrica (gli Impossibili), Kaps è riuscito quest’estate a produrre un nuovo tipo di pellicola istantanea. La sfida era infatti reinventare un prodotto i cui "ingredienti” chimici erano ormai introvabili.
In rete le manifestazioni di entusiasmo dei fan non si contano. la Polaroid Corporation aveva annunciato la cessazione della produzione di pellicole istantanee nel febbraio del 2008. Già allora era nato un movimento internazionale "per il salvataggio della polaroid dalla chiusura” (www.savepolaroid.com).
Nonostante il dilagare del digitale Kaps non ha avuto tentennamenti e alla fine ce l’ha fatta.
La sua idea: quando tutti vanno in una direzione si crea una nicchia nella direzione opposta.
(www.the-impossible-project.com)