Ma non fosse che per sola deferenza verso le "formule astratte” del diritto delle genti, tanto durante i negoziati per la pace di Lausanne che nel dibattito di questi giorni al Consiglio della S. d. N., sono state pure invocate la nazionalità e la volontà degli abitanti di questa contrastata regione.
Geograficamente il vilayet di Mosul -un vasto anfiteatro (ca. 90.000 chilometri quadrati) circondato da alte montagne e aperto sulla valle del Tigri- non appartiene né alla Siria, né interamente alla Mesopotamia e meno che mai all’Anatolia. Durante i secoli è stato un punto di scontri o un baluardo di resistenza per gli imperi che dall’Iran cercavano di protendersi fino al Mediterraneo (Babilonia, Parti, sassanidi, mongoli) o dal Nilo avanzavano verso l’Eufrate (Faraoni della XVII dinastia, Fatimidi, Eyubidi, Mehemet, Ali) o dall’Occidente dominavano l’Armenia (romani, bizantini, Osmanli). È stato anche il crocevia obbligato di tante fiumane migratorie, dai quasi preistorici Cossei ai Coresmi del 1240, e di traffici importanti dai fenici a Marco Polo. Quindi una popolazione mista; residui di razze, di religioni, di civiltà eterogenee. I turchi a Losanna presentarono una statistica non si sa in che anno e con che metodo raccolta, secondo la quale la popolazione sedentaria del vilayet di Mosul sommerebbe a 503 mila abitanti; dei quali 146 mila (29%) sarebbero turchi, 264 mila curdi (52%) e 43 mila arabi (8,6%); oltre a 31 mila fra cristiani e israeliti e a 18 mila "yezidi”, cioè dei curdi affiliati a una setta gnostica con reminiscenze zoroastriane. Gli inglesi opponevano i risultati del censimento fatto nel 1920 che dava un totale di 703.378 abitanti così ripartiti: 418 mila curdi (59%), 151 mila arabi (21%), 63 mila turchi (9%), poi 55.470 cristiani (nestoriani del patriarcato "assiro” Mar Scimon di Kochannes; Cattolici caldei del patriarcato di Mosul; Giacobiti del patriarcato di Mardin) e 14.835 ebrei.
La nazione curda
I curdi, che evidentemente sono in maggioranza, parlano vari dialetti (kurdmangi o "curdomedi”, zaza, ecc.) iranici, cioè indo-europei; non sono dunque né semiti come gli arabi né del ceppo uralo-altaico come i turchi; come tipo antropologico sono di razza... ma finora il concetto di "razza” umano è così arbitrario e fantastico, che si potrebbe discuterne all’infinito. Nomadi o semi-nomadi con organizzazione sociale gentilizia spiccatamente aristocratica (principi, cavalieri, valvassori, servi); anche in questo si differenziano nettamente tanto dalle tribù turche che dai Beduini; sono sunniti ferventi mentre nell’Iraq propriamente arabo (Bagdad e Bas’ra) vi sono 1.472 mila sciiti contro soli 567 mila sunniti; ma dai turchi sunniti ortodossi, i curdi si distinguono per la loro inclinazione all’estremismo mistico.
Di questo popolo ca. 700 mila individui (tribù "Mukuri”, "Kelhor” e i sedentari "Guran”) sono sudditi -indocili- della Persia; 450 mila ("Hakkari”, "Giaf”) abitano, come abbiamo visto, le contrastate marche dell’Iraq; quasi un milione (tribù "Milli”, "Hasananlu”, ecc.) sono stati inclusi nelle frontiere della Repubblica di Angora; quanti di questi ultimi siano sopravvissuti alla sanguinosa repressione continuata per mesi dopo la rivolta del febbraio scorso non è possibile precisare. [...]
Dalla metà del IX secolo le tribù curde si convertirono all’Islam e da allora poterono attribuire un altro significato religioso alla "azione storica” cui coscienziosamente si dedicarono durante tutto il millennio seguente: il massacro sistematico delle popolazioni sedentarie cristiane e in particolar modo degli armeni. La persistenza in quella "zona di confine” di tale economia fondata sulla distruzione periodica, spiega abbastanza come [...] sotto tutte le superficiali dominazioni: dagli emir-al-omrah, ai sultani e atabechi turchi, dalle fuggevoli affermazioni di principi armeni, capitani bizantini, baroni francesi (in quel di Edessa) alla nominale sovranità ...[continua]
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