L’origine di questa divisione degli uomini in "intellettuali” (che poi spesso sono dei semplici oziosi senza alcuna intellettualità) e "manuali” si può riscontrare nel fatto che in epoche e circostanze in cui il produrre a sufficienza per soddisfare largamente ai propri bisogni importava uno sforzo eccessivo e sgradevole e non si conoscevano i benefizi della cooperazione e della solidarietà, i più forti o i più fortunati trovarono il modo di obbligare gli altri a lavorare per loro. Allora il lavoro manuale, oltre a essere più o meno penoso, diventò anche segno d’inferiorità sociale; e perciò i signori volentieri si stancavano e si ammazzavano in esercizi equestri, in cacce estenuanti e pericolose, in gare faticosissime, ma si sarebbero considerati disonorati se avessero sporcate le loro mani nel più piccolo lavoro produttivo. Il lavoro fu cosa da schiavi; e tale resta anche oggi malgrado i maggiori lumi e malgrado tutti i progressi della meccanica e delle scienze applicate, che rendono facile il provvedere abbondantemente al bisogni di tutti con un lavoro piacevole, moderato nella durata e nello sforzo.
Quando tutti avranno il libero uso dei mezzi di produzione e nessuno potrà obbligare un altro a lavorare per lui, allora sarà interesse di tutti organizzare il lavoro in modo che riesca il più possibile produttivo e attraente -e tutti potranno coltivare, utilmente o inutilmente, gli studi senza perciò diventare parassiti. Non vi sarebbero parassiti, primo perché nessuno vorrebbe alimentare dei parassiti e poi perché ognuno troverebbe che dando la sua parte di lavoro manuale per concorrere alla produzione, soddisferebbe nello stesso tempo il bisogno di attività fisica del proprio organismo.
Lavorerebbero tutti, anche i poeti e i filosofi trascendentali, senza danno per la poesia e per la filosofia. Anzi...
"Umanità Nova”, n. 181. 10 agosto 1922.
Reprint di Errico Malatesta da "Umanità Nova", 10 agosto 1922
i reprint
Una Città n° 222 / 2015 maggio
Articolo di reprint di Errico Malatesta
Lavoro manuale e intellettuale
Reprint di Errico Malatesta da "Umanità Nova", 10 agosto 1922
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