Il lettore mi perdoni se parto "giornalisticamente” da una situazione esistenziale. Mi sarebbe difficile farne a meno. Sono in uno stabilimento di Ostia, tra il turno di lavoro del mattino e quello del pomeriggio. Intorno a me c’è la folla dei bagnanti in un silenzio simile al frastuono e viceversa. Infuria la balneazione. Quanto a me -occupato a rigenerarmi dal buio insano del laboratorio di doppiaggio- ho in mano "L’Espresso”. L’ho letto quasi tutto, come fosse un libro. Guardo la folla e mi chiedo: "Dov’è questa rivoluzione antropologica di cui tanto scrivo per gente tanto consumata nell’arte di ignorare?”. E mi rispondo: "Eccola”. Infatti la folla intorno a me, anziché essere la folla plebea e dialettale di dieci anni fa, assolutamente popolare, è una folla infimo-borghese, che sa di esserlo, che vuole esserlo. Dieci anni fa amavo questa folla; oggi essa mi disgusta. E mi disgustano soprattutto i giovani (con un dolore e una partecipazione che finiscono poi col vanificare il disgusto): questi giovani imbecilli e presuntuosi, convinti di essere sazi di tutto ciò che la nuova società offre loro: anzi, di essere, di ciò, esempi quasi venerabili. E io sono qui, solo, inerme, gettato in mezzo a questa folla, irreparabilmente mescolato ad essa, alla sua vita che mostra tutta la sua "qualità” come in un laboratorio. Niente mi ripara, niente mi difende. Io stesso ho scelto questa situazione esistenziale tanti anni fa, nell’epoca precedente a questa, e ora mi ci trovo per inerzia: perché le passioni sono senza soluzioni e senza alternative.
Pier Paolo Pasolini
(tratto da "Corriere della Sera”, 1° agosto 1975)

Pier Paolo Pasolini (Bologna, 5 marzo 1922 - Roma, 2 novembre 1975) è sepolto a Casarsa, a fianco della madre.