Molta gente si può permettere di sospirare davanti a tutto ciò che il salumaio espone sotto le diamantine luci delle lampade al neon; ma Cesare, anche se ne fosse tentato, non può e non vuole sospirare; lui si è sempre spazzolato gli abiti tutte le mattine e non è mai uscito di casa con le scarpe che non fossero lucide. In verità i vestiti glieli ha sempre spazzolati quella povera diavola di sua moglie la quale, non si sa come, ma in mezzo all’arruffio della casa e il traffico dei tre bambini, trova sempre il tempo per fare anche quelle cose.
Cesare lavora in un ufficio del Comune dove capita sempre tanta gente e non può davvero venir meno a un certo decoro: un impiegato, in questo senso, ha dei doveri e quando anche non lo facesse per sé, deve farlo per gli altri. Un impiegato è sempre un impiegato, anche se in questi ultimi anni ha fatto una vita da lupi e ha mangiato erba, sempre erba: c’è da diventar verdi come zucchini a forza di mangiar sempre erbe, ma anche quello sarebbe sconveniente e, malgrado tutto, bisogna saper restare quello che è necessario essere.
"Papà, domani è Natale”, gli ha detto oggi il figlio maggiore.
"Sì, proprio Natale”, ha risposto lui accennando fuori della finestra la neve che cade. "Un vero Natale -ha pensato poi-. Nella vita ci sono una infinità di natali: quelli di quando si è bambini, poi quando si cresce, mariti, padri; proprio tanti natali”. Nel pensar ciò ha finito poi per riflettere tra sé che in fondo tra tutti ce n’è uno che sempre fa capolino, quello con la neve, il caminetto, il tacchino; quello delle cartoline illustrate che rimane sempre il Natale di tutte le età. "È una parola, il tacchino! Ora costa quanto un’automobile”. Oltre al tacchino e le altre cose, c’è anche lo spazzacamino nero e pieno di freddo, coperto di toppe, e con le dita dei piedi fuori delle...
Spazzacamino che tremi dal freddo
nessuno ti guarda e pensa a te,
la gente passa, la neve cade...
"I versi di una volta -continua a pensare Cesare-, quelli sì che dicevano proprio ciò che si sente in certi momenti. Ma gli spazzacamini non ci sono più, non se ne vede mai; meglio così, una cosa di meno a farci stringere il cuore. Una pena in meno, benché, a ripensarci bene, ce ne sono tante mai di nuove. Bah, lasciamo correre... a che pro”.
Poi Cesare s’è accorto ch’è venuto tardi e che col doppio stipendio che ha in tasca deve uscire. "Ce ne vorrebbero dieci di doppi stipendi, ma insomma, meglio che nulla”.
La faccenda dello spazzacamino è rimasta in testa a Cesare, ancora ricorda a certe cartoline illustrate dei suoi tempi. In fondo fa malinconia che tutto sia cambiato così e Cesare è proprio malinconico; forse, se ancora oggi ci fosse qualche spazzacamino da far salire in casa a bere una tazza di brodo caldo verso la fine del pranzo di Natale si sentirebbe meno triste: le sofferenze altrui consolano un poco delle nostre e certo, mai come in questi anni Cesarino s’è accorto che di sofferenze ce n’è da vendere, e che ognuno ora ha le sue e non ha nemmen più il tempo di pensare a quelle degli altri.
"Io però no, non son fatto così, in questo mondo senza più pietà, senza più cuore e col pane misurato dalla tessera, anche se sono pieno di seccature e ho parecchi debiti, mi sento capace di avere ancora della compassione, naturalmente, non sono mica una bestia, specie ora che sembran tutti diventati delle bestie. L’impiego ce l’ho e debbo pensare anche a chi soffre, se lo si vuol fare il bene il modo lo si trova sempre, magari anche solo col pensiero”. In fondo, anche questa volta, Cesare non vuole confessare a se stesso che si fa tanta compassione e pensa a quella che possono fargli gli altri, quelli che staranno peggio di lui. Senza accorgersene però si trova a ripetere ancora mentalmente quella frase che gli viene su tanto spesso: "Chi è più disgraziato di me!”. Quando poi alla fine si rende conto che sta facendosi questa domanda tipica del disperato impotente e solitario, si stringe la vecchia palandrana sulle spalle, fa le sue povere compere nei bei negozi e torna a casa.
Al mattino ...[continua]
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