Aurelio Saffi, Presidente

Cittadini,
Grazie delle vostre cordiali accoglienze. Esse sono maggiori di quel che io non meriti; ma hanno un significato che importa notare sin da principio: ed è ch’esse attestano che un sentimento comune qui ci unisce tutti senza distinzione di parte. In fatti, la cagione di questo Comizio tocca il fondamento, la vita stessa di ciò che è sacro a noi tutti -la patria.
Non esiste patria senza unità; una patria divisa è un campo aperto alle dominazioni straniere, e, sotto l’egida di quelle, alle tirannidi domestiche: e noi italiani lo sappiamo per prova. Né può esistere patria civile senza libertà: dove leggi, governo, amministrazione della cosa pubblica, sono monopolio di una casta, ivi non è civiltà ma barbarie, non associazione d’uomini consci della loro dignità e cooperanti, mercé lo sviluppo delle loro facoltà, all’incremento del valore comune, ma silenzio e corruzione di gente serva, senza ufficio nel consorzio dei popoli, senza nome né storia.
Ora, a queste prime condizioni della vita civile di una nazione move guerra mortale, nel seno di questa Italia rinata, a traverso secolari proteste e sacrifici, al possesso delle medesime, la chiesa di Roma: stanno contro l’unità della patria le sue pretese al poter temporale, contro gli istituti della libertà le dottrine del Sillabo.
La chiesa di Roma! Io non vorrei che le mie parole suonassero condanna indistinta, ingiusta, volgare, di tutto ciò che, nella storia de’ tempi, si comprende sotto il nome di questa grande istituzione.
La critica scurrile che riduce a mera superstizione e impostora tutta una vasta e solenne forma del sentimento religioso dell’Umanità, non è la mia.
Io rispetto il sentimento religioso sotto qualunque forma si mostri: il sentimento religioso, dico, non il fanatismo e le passioni settarie che ne sono la depravazione.
Non disconosco la missione civile compiuta dalla chiesa ne’ suoi tempi migliori; le carità cristiane da cui ebbero origine, sino dai primi secoli, la maggior parte degli istituti di beneficenza sociale, che la moderna civiltà va perfezionando; la barbarie umanizzata, la schiavitù temperata, la condi­zione della donna nobilitata, l’impero della Legge morale contrapposto virtualmente all’impero della forza, eguaglianza spirituale fra signori e servi, fra ricchi e poveri, fra gente e gente nella società religiosa, fatta preludio alla eguaglianza civile nella società politica.
Ma osservo che questi svolgimenti dell’idea cristiana ne’ rapporti sociali, scaturirono dal seno della chiesa quando la sua azione non eccedeva i termini di un ministerio morale rispondente, nella infanzia delle nazioni, al bisogno di tutela dei deboli contro i potenti; quando la chiesa era l’ospi­zio di tutto ciò che usciva, per sapere e virtù, dalla schiera volgare; quando infine, nella costituzione stessa della società ecclesiastica, l’autorità del capo era temperata dalle franchigie delle membra e dato campo, in considerevole misura, ai progressi del pensiero e alla libertà delle censure sulla condotta dei supremi gerarchi: testimoni le polemiche delle scuole del medio-evo e il severo linguaggio dei più grandi fra i padri contro le corruttele e le ambizioni mondane della Curia romana.
Colle quali ambizioni e corruttele -mentre gli incrementi della coltura e delle varie operosità del laicato vanno emancipando popoli e governi dalla necessità della tutela sacerdotale- cominciava appunto la decadenza della chiesa cattolica. E fu segno e suggello di tal decadenza il ricorso allo schermo del potere temporale, agli avvolgimenti della politica, all’impiego dei mezzi materiali per sostegno di quella unità del primato papale, che i mezzi morali più non bastavano a tenere insieme.
E ne emersero le empietà di quella feroce reazione del fanatismo cattolico contro gli inizii della riforma cristiana e i lumi della rinascente coltura, onde -complice la Casa d’Asburgo ne’ suoi due rami, lo spagnuolo e l’austriaco- le più civili contrade d’Europa furono, per oltre un secolo, funestate dai roghi dell’Inquisizione e dalle guerre di religione.
Senonché la violenza e il terrore non valsero ad impedire il distacco delle nazioni protestanti dalla chiesa di Roma; né il moto della libertà del pensiero e della coscienza, e i progressi della civiltà in quelle rimaste in sua balia.
La ragione trionfava dello spettro di una autorità consunta, creando, nell’ordine intellettuale, la scienza; nell’ordine politico, le guarantigie ...[continua]

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