Cari amici,
è tempo di vacanze e dunque di turismo. Il Marocco resta, nonostante tutto, una meta amata da molti turisti di tutto il mondo. Il Paese sente di avere questa vocazione, l’ospitalità è qui un piacere prima che un dovere. L’industria turistica è quindi estremamente importante per l’economia. Il fatto che il Marocco sia decisamente più sicuro rispetto a mete vicine culturalmente e geograficamente, non pare però aver convinto.  In generale il turista vive oggi la sindrome dell’insicurezza: anche solo entrare in un aeroporto spinge chiunque a sentirsi da un lato più sicuro per le misure di controllo sempre più accanite e dall’altro più insicuro, più esposto.
Fare turismo, fare un viaggio di piacere all’estero è diventato uno status e dunque chi viaggia ha un modello sociale da seguire. Il viaggiatore più avventuroso non è escluso: qui compare l’ingenuità di altro segno, quello dell’utopia: tutti siamo uguali e parliamo un linguaggio universale. Sottovalutando che talvolta è più difficile comunicare con un vicino di casa che con il cameriere di un albergo dall’altra parte del mondo. Il perché è ovvio. Mi piace però raccontarvi uno dei tanti miei viaggi alla scoperta del Marocco nato quasi per caso e per questo più affascinante.
Mi trovavo a Essaouira, vi avevo conosciuto un giovane berbero del sud. Mi ero offerto di accompagnarlo personalmente al suo villaggio. Avevo noleggiato una piccola utilitaria, una Fiat Uno. Per questo gli avevo chiesto subito se il villaggio fosse raggiunto dalla strada asfaltata. L’asfalto corre in Marocco in lungo e in largo, spingendosi anche nei punti più remoti, magari per uso militare, ma anche per collegare questo immenso Paese. "C’è un po’ di pista”, la risposta laconica. "Un po’ di pista” significa poca. "Ed è agevole?”, gli avevo domandato ancora. Aveva risposto di sì.
Partimmo dunque sul tardi, oltrepassammo Taroudannt a pomeriggio inoltrato e affrontammo in seguito le ripide salite dell’Anti Atlante. Verso le sette di sera Abdessalam mi segnalò che eravamo giunti alla deviazione per il villaggio. Mi si presentò qualcosa simile a un letto di torrente, zeppo di sassi. Gli altri scesero dall’auto e io, irresponsabilmente, affrontai la salita, vincendo la sfida. Piuttosto allarmati domandammo tutti al nostro amico dove fosse il villaggio. "À côté là bas”, la risposta. Indicava una montagna. Proseguimmo su un tracciato più agevole. Una stradina di montagna come tante, con qualche buca improvvisa. Continuammo per molto tempo e ogni volta che ci rivolgevamo ad Abdessalam per avere un conforto, come sperando che d’improvviso la sua risposta fosse: "È quello là!”, lui ci deludeva con la stessa frase, "À côté là bas”. Non era lì vicino, per lo meno alla velocità della Fiat Uno su strade improprie. Giungemmo a mezzanotte. Nel buio i fari dell’auto illuminarono uno spiazzo, a lato del villaggio, che si riempì di vita come per incanto: per lo più bambini e ragazzini, molte donne. Una festa nel ricevere Abdessalam, uno dei tanti uomini in età adulta, tutti andati a cercar fortuna più a nord. "À côté là bas” ci svelò la meraviglia di un villaggio senza luce né servizio alcuno, dove regnava il silenzio della natura, delle montagne arse del Piccolo Atlante, dove si andava a fare i bisogni fuori, tra le sterpaglie; dove si aspettava il tramonto sui tetti delle casette di terra e sassi, ascoltando quel suono accogliente del villaggio che vive di sera, prima di addormentarsi. Eravamo in tre oltre ad Abdessalam, ospiti improvvisi, due italiani e un marocchino, berbero anch’egli. Ospitati da sole donne nella famiglia allargata di Abdessalam, al fresco della casa di terra, con poche bottiglie d’acqua portate dalla città avendo pensato a un soggiorno breve, che invece si sarebbe prolungato. Le donne furono non solo ospitali, ma pure eccezionali nel dedicarsi a noi, un bel diversivo rispetto alla vita quotidiana, nell’attesa del ritorno di padri, mariti e fratelli, e del furgoncino-negozio, una volta alla settimana, il loro mercato. E per il resto dedite alle mansioni della gestione di casa in economia di sussistenza. Donne forti e allegre.
Venne organizzata una festa danzante in nostro onore, così ci attrezzammo secondo le modalità ufficiali: comprammo due polli ruspanti, ben presto cucinati e serviti a tavola nella casa del capo del villaggio, tra commensali uomini, anziani, e quei pochi giovani che erano tornati d’estate al villaggio. La cena fu formale e l’assenz ...[continua]

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