finalmente pare che il Marocco avrà presto un nuovo governo, dopo la lunga impasse successiva alle elezioni di ottobre, quando fu incaricato dal re il segretario del partito di maggioranza relativa Pjd (Partito Giustizia e Sviluppo), il carismatico Benkirane. Quest’ultimo ha trovato enormi difficoltà a mettere insieme anche solo una compagine governativa identica a quella precedente: gli ostacoli sono sorti numerosi e a volte anche sorprendenti. Come l’auto esclusione involontaria del leader dell’Istiqlal, Chabat, che dall’infelice dichiarazione sulla sovranità della Mauritania ancora non è uscito indenne: è in atto nel suo partito una lotta per destituirlo. Benkirane avrebbe desiderato averlo al governo, mentre i suoi alleati forzati della Rni (Unione degli indipendenti) hanno insistito per avere piuttosto la più debole Usfp (Unione Socialista delle Forze Popolari), il cui mediocre e discusso leader non sembra gradito al segretario Pjd. Un caos politico, con sullo sfondo la pesante assenza del sovrano, all’estero diversi mesi per la missione di reingresso dopo 33 anni nell’Unione Africana. La missione regale è riuscita perfettamente, con conseguenze certe nelle relazioni tra le nazioni del continente e l’inasprimento del conflitto diplomatico tra Saharawi e Marocco. Si sono infatti già verificati i primi problemi di convivenza all’interno dell’Unione: il Marocco comincia a mostrare i muscoli, sfruttando la rete di alleanze intessuta abilmente da Mohammed VI in questi mesi con diversi stati africani.
A confortare ulteriormente gli obiettivi della monarchia alawita è giunta, dopo cinque mesi, la remissione dell’incarico da parte di Benkirane. Un leader evidentemente troppo ingombrante per una monarchia che non ha nessuna intenzione di delegare poteri significativi alle forze politiche, mantenendo piuttosto un sistema di democrazia controllata. D’altronde è chiaro che la monarchia desidera avere il controllo sulla religione, anche nella qualità del re di essere principe dei credenti: le primavere arabe hanno portato ovunque sconvolgimenti terribili e le forse sociali più forti si rivelano essere in ogni luogo quelle di matrice religiosa, con impostazioni piuttosto integraliste. Il Pjd, pur considerato un partito islamico moderato, sfugge al controllo monarchico e la convivenza tra monarchia e governo islamista è imposta dal risultato elettorale e dalla Costituzione del 2011, in base alla quale il re incarica il segretario del partito che ottenga la maggioranza relativa.
Gli sforzi del sovrano marocchino per l’affermazione di un islam moderato e tollerante sono evidenti: negli anni del suo regno, sono stati fatti passi enormi nel diritto di famiglia e per l’abbandono di pratiche disumane, come l’obbligo della vittima di violenza di sposare lo stupratore. È dell’inizio di quest’anno poi la decisione dell’Alta Commissione degli Affari Religiosi di abolire la sua precedente sentenza che prevedeva la pena capitale per il reato di apostasia. È dunque molto chiara la spinta del potere centrale verso un approccio più laico alla religione di stato.
La rinuncia di Benkirane potrebbe essere considerata una ulteriore vittoria del re, che s’è affrettato a nominare il numero due dello stesso partito, El Hothmani, figura meno caratterizzata e meno carismatica e dunque più gradita agli altri partiti e al re stesso. Sarà questi a presentare a breve la lista dei ministri, avendo già accettato la proposta di Rni di includere nel governo i socialisti dell’Unfp, insieme ai già governativi Unione Costituzionale, Movimento Popolare e Partito del Progresso e del Socialismo. Un segnale chiaro per il Paese e per i leader politici.
Non si può dare tutti i torti al sovrano marocchino, pur ammettendone il fastidioso assolutismo di fatto. L’islamismo d’importazione penetra rapidamente anche nella società marocchina, scardinando tradizioni e trasformando una mentalità piuttosto avvezza al compromesso in una più rigida ricerca della purezza islamica. Il pensiero radicale s’insinua nella società anche grazie alla presenza degli islamisti al governo negli ultimi cinque anni. Ne è esempio la lotta di diverse associazioni berbere del sud contro un nemico spesso invisibile, ma molto operativo: professori e imam indottrinano gente semplice che era abituata a tradizioni affatto diverse. Danze miste vietate nelle feste dei villaggi, i tatuaggi delle berbere additati come non consoni al corretto islam… La parola Ha ...[continua]
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