Nei giorni scorsi è stato reso pubblico un appello dal titolo "Tacciano le armi e si cerchino le vie politiche del dialogo” che diversi organi di stampa hanno ripreso. È un documento, sintetico pur nella complessità dei temi che affronta, predisposto da ebrei italiani da tempo impegnati nel sostegno a una soluzione del conflitto israelo-palestinese fondato sul principio di "due stati per due popoli” e fortemente preoccupati per lo stallo dei negoziati fra le parti paralizzati ormai dal 2014 e l’incrudirsi ricorrente di un conflitto irrisolto. L’appello è stato sottoscritto da oltre 300 persone, ebrei e non, sensibili alle vicende di quella parte del mondo, pur relegate da qualche tempo in secondo ordine dalla frantumazione degli stati nel Medio Oriente, dal terrorismo islamista e dal cataclisma umanitario nella regione. (http://espresso.repubblica.it/internazionale/2018/05/15/news/massacro-di-gaza-non-possiamo-tacere-1.321984)
Nelle ultime settimane la brutalità del conflitto ha investito soprattutto la striscia di Gaza con le proteste di massa organizzate sotto l’egida della "Marcia del ritorno”, iniziate il 30 marzo scorso e ripetutesi ogni venerdì fino a culminare il 14 maggio -il giorno prima della Naqba- in cui i palestinesi commemorano l’esodo di circa 700.000 profughi con l’indipendenza di Israele nel 1948.
Al di là della cruda conta delle vittime, dei lutti e delle sofferenze di gente segnata per la vita dalla violenza (oltre 100 palestinesi uccisi, moltissimi feriti) e della meccanica degli scontri, sui quali le Nazioni Unite intendono svolgere un’inchiesta indipendente, la mancanza di una strategia di lungo termine in ognuno degli antagonisti attanagliati in un conflitto nefasto sconcerta l’osservatore imparziale e ancor più sgomenta chi come noi partecipa empaticamente del dramma dei due popoli.
Hamas non ha una strategia: per lungo tempo ha condotto da Gaza un’inutile guerra di guerriglia che ne ha esposto gli abitanti alle ritorsioni di Israele e non ha abdicato, nel suo settarismo ideologico, al principio del rifiuto dell’esistenza di Israele. È debole, per il degrado e la miseria che gravano sulla striscia di Gaza, ancora devastata dalle conseguenze della guerra dell’estate 2014. È isolato dal mondo arabo-islamico, inclusi il Qatar e la Turchia un tempo suoi alleati e finanziatori, e osteggiato dall’Egitto per il suo appoggio ai Fratelli mussulmani. Tale è la sua debolezza che da tempo non lancia più razzi verso Israele e anzi avrebbe ripreso di recente l’offerta di una tregua di lungo termine, cui peraltro il governo Netanyahu non ha risposto.
L’antagonismo con l’Olp dominata da Al-Fatah permane, malgrado l’accordo di riconciliazione negoziato l’anno scorso che contemplava l’esercizio da parte dell’autorità palestinese di Ramallah della giurisdizione civile-amministrativa, non del potere militare, su Gaza. Al fallimento dell’accordo essa ha reagito imponendo sanzioni alla stessa Gaza che hanno esacerbato le sofferenze della popolazione, la cui condizione, sul piano dell’economia, della disponibilità di energia, dell’ambiente e della sanità, è drammatica. Le Nazioni Unite predicono che nel 2020 non vi sarà acqua potabile; già oggi essa è limitata e spesso inquinata. L’energia elettrica è disponibile solo per alcune ore al giorno; la disoccupazione supera il 40%, fra i giovani il 60%. Parte rilevante degli abitanti sopravvive grazie al soccorso erogato da organizzazioni umanitarie internazionali.
Nelle ultime settimane Hamas ha fagocitato e manipolato la protesta promossa lungo la  frontiera da comitati e associazioni in forme inizialmente nonviolente, cercando di attirare l’attenzione del mondo sulla catastrofe umanitaria di Gaza e sulle nequizie di Israele. Ordigni esplosivi, granate, aquiloni in fiamme e bottiglie incendiarie sono stati lanciati verso il territorio di Israele. Una parte dei morti dei giorni scorsi erano, secondo Israele ma anche secondo Hamas che ne ha vantato l’identità, militanti armati; in particolare, un dirigente dell’Ufficio politico di Hamas ha affermato che 50 delle 62 vittime negli scontri del 14 maggio erano membri del movimento.
Quale strategia d’altra parte persegue Israele? Dovrebbe trattare con Hamas ? Forse è stato un errore da parte di Israele -e del Quartetto (Onu, Stati Uniti, Russia e Ue)- fissare condizioni troppo cogenti nel 2007, al momento del successo elettorale e poi della presa del potere da parte di Hamas, per negoziare con ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!